Femmine da serie

Mariarosa Mancuso
Dietro i successi tv ci sono parecchie donne, salgono le responsabilità e pure i compensi

    Al cinema non era mai successo niente di simile. Neppure quando le sale erano comode sotto casa e di crisi ancora non si parlava, tantomeno di pirateria. Succede in televisione: la fame di nuove serie e nuove idee – per riempire i palinsesti e conquistare gli spettatori servono centinaia di programmi originali all’anno – ha spalancato le porte alle donne. Non c’è solo Lena Dunham, showrunner di “Girls” (e anche qualcosa di più, oltre a dirigere la baracca ha la parte di Hannah che molto le somiglia, anche nelle aspirazioni a diventare “voce della sua generazione”). Non c’è solo Shonda Rhimes, di “Grey’s Anatomy” e ora di “Scandal”, già saldamente collocata da un decennio nella classifica delle cento persone che contano compilata da Time.
    Una schiera di ragazze superstar si sta facendo avanti. Proprio mentre dobbiamo con dolore constatare le scarse attrattive della seconda stagione di “True Detective” (tutta testosterone, nonostante la presenza di Rachel Adams): mai serie passò più rapidamente dal fanatismo alla pernacchia. Si fa sentire l’addio del regista Cary Fukunaga, star della prima stagione – avrà un film in concorso alla mostra di Venezia, “Beast of No Nation”, in uscita al cinema e su Netflix, per ribadire la fame di storie dei nuovi distributori. E il delirio autoriale di Nick Pizzolatto ha dimostrato che la tv ancora non si addice a un one man show.

     

    Dietro “Master of Sex” – la serie targata Showtime sui pionieri sessuologi Masters & Johnson, la seconda stagione va in onda su Sky Atlantic dallo scorso 5 agosto – c’è Michelle Ashford. Dietro “Empire” – la serie sull’hip hop, vanta il più vertiginoso aumento di spettatori nella storia della tv americana – c’è Ilene Chaiken (prima aveva lavorato per la serie lesbo “The L-Word”). Dietro “The Affair” – in scena un adulterio, per mezza puntata visto con gli occhi di lui e per mezza puntata visto con gli occhi di lei – c’è Sarah Treem, che aveva cominciato scrivendo “In Treatment”. Dietro “Fresh Off the Boat” – famiglia cinese che dalla chinatown di Washington si trasferisce a Orlando, Florida, e mette su un ristorante da cow-boy – c’è Nahnatchka Khan. Dietro “Orange is the New Black” – intrighi da carcere femminile: esiste qualcosa di più lontano dalle “Casalighe disperate”, o di meno attraente, se raccontato a parole? - c’è Jenij Kohan. Dietro “Transparent” – papà che annuncia ai figli grandi “da oggi mi vestirò e pettinerò da casalinga disperata, lo sogno da una vita” – c’è Jill Soloway.

     

    Salgono le responsabilità e salgono i compensi. Un articolo sull’ultimo numero di Variety fa i conti in tasca agli showrunner. Complessivamente, i compensi procurati dalle televisioni agli sceneggiatori sono cresciuti del 40 per cento circa nei cinque anni trascorsi dal 2009 a 2014. Una donna che firma copioni per la tv guadagna in media 92 centesimi di dollaro per ogni dollaro guadagnato da un maschio. Al cinema, una donna che firma copioni percepisce in media 77 centesimi per ogni dollaro percepito da un collega maschio. Le donne che scrivono per la tv incassano mediamente 112 mila dollari all’anno, le donne che scrivono per il cinema ne incassano 61 mila.

     

    Racconta Sarah Treem, che con “The Affair” ha adattato “Rashomon” alla guerra tra i sessi e aveva conseguito un Master alla Yale School of Drama nel 2005: “Quando ho cominciato a lavorare sembrava che ci sarebbero voluti cent’anni per raggiungere la parità. Non dico che ci siamo arrivate, ma le cose stanno cambiando con incredibile rapidità”. Ancora una volta, la televisione – sotto forma di serie – è più avanti.