Il Giobbe dei Coen

Mariarosa Mancuso
La seconda stagione di “Fargo” non c’entra nulla con la prima, ma ci ha già conquistati

    Il Libro di Giobbe al cinema è territorio dei fratelli Ethan e Joel Coen. Lo hanno colonizzato la prima volta con “A Serious Man”: la storia di un professore universitario tradito dalla moglie, tanto per cominciare. Oltre alle altre disgrazie, deve vedersela con un Dio o assente o giocherellone (manda messaggi incisi sulle arcate dentarie). Lo hanno colonizzato la seconda volta con “A proposito di Davis”: la storia di un musicista folk a cui vanno tutte storte, ancor prima che un giovanotto di nome Bob Dylan appaia all’orizzonte.

     

    Doveroso quindi l’omaggio a Giobbe nella serie “Fargo” (la seconda stagione è partita a metà ottobre in America, su Sky Atlantic arriverà come regalo natalizio anti-melassa). La matriarca di una famiglia criminale attiva nel Nord Dakota – i Gerhardt, il patriarca Otto ha appena avuto un ictus – distrugge la smania di potere del figlio grande raccontandogli appunto la storia di Giobbe. “Il diavolo non è riuscito a far capitolare Giobbe, non farai cambiare idea a me”, ragiona la terribile mamma. Intanto, nel Kansas, una più grande ditta criminale – aiutandosi con i lucidi proiettati sulla parete, e facendo riferimento ai ragazzi del reparto ricerca&sviluppo – intende acquisire il business, lasciando i Gerhardt come dirigenti. Il futuro appartiene ai grandi gruppi, le imprese familiari son destinate a scomparire.

     

    Rispetto al film diretto dai Coen nel 1996, la serie tv non è un sequel né un prequel. Va intesa come un universo parallelo. Succedono cose diverse, ma lo showrunner Noah Hawley conserva la vena di follia, il nerissimo humour, il crimine organizzato che si intreccia con il crimine disorganizzato, il bianco perfetto della neve chiazzato di sangue. Rispetto alla prima stagione della serie, ambientata nel 2006, la seconda stagione torna indietro al 1979. Quando Jimmy Carter deplora la scarsa fiducia degli americani, a ridosso del Watergate e della guerra in Vietnam. Intanto Ronald Reagan si stava scaldando ai blocchi di partenza.

     

    Proprio su Reagan ricama la folgorante scena iniziale. Bianco e nero, partono i titoli di testa di un film intitolato “Massacro a Sioux Falls”, starring l’attore che sarebbe diventato presidente (da qui le battute di “Ritorno al futuro”, costruite a posteriori, ma non è che al momento i commenti sull’ex attore fossero tanto diversi). La pellicola non fa parte della filmografia di Ronald Reagan, che invece recitò accanto a uno scimpanzé in “Bonzo la scimmia sapiente”. L’origine sta nella stagione numero uno di “Fargo”, il poliziotto Salverson abbandona la divisa davanti a tanto orrore, noto come massacro di Sioux Falls: “I cadaveri ammucchiati arrivavano al secondo piano”.

     

    “Sono ebreo, so di cosa parlo”

     

    Fin qui potrebbe trattarsi di citazionismo estremo, del genere però che non impedisce a chi non conosce gli antefatti di godersi la storia. Ma non stiamo vedendo un film, sia pure ricostruito. Vediamo un set dove l’aiuto regista dice al finto indiano con le piume in testa: “Pazienza, stiamo mettendo le frecce sul corpo di Reagan, servirà un po’ di tempo”. Poi intrattiene il finto indiano sul massacro dei veri indiani, aggiungendo: “Sono ebreo, so di cosa parlo”. Il tutto con un maglione di lana jacquard che grida vendetta, e che somiglia a quello che sta sul manifesto, con la scritta in corsivo “Fargo”. Intanto, sullo sfondo, una comparsa che dovrebbe essere morta sul campo di battaglia chiede una coperta, per non morire assiderata. Ancora non è comparsa Kirsten Dunst, sciampista sposata a un macellaio che sogna un giorno di avere una macelleria tutta sua, e già siamo conquistati.