Quella là
E’ femmina, non può far altro che scoperchiare il vaso di Pandora, liberando il male nel mondo. Assieme a Supergirl, dal distrutto Pianeta Krypton arrivano carcerati alieni. La loro navicella si schianta nella Zona Fantasma dove il tempo non passa, nei pressi del guscio monoposto che porta sulla terra Kara Zol-El: questo il nome kriptoniano della ragazza, proprio come Kal-El era il nome kriptoniano dell’infante, anni dopo conosciuto come Superman. Nelle intenzioni, era la cugina grande spedita sulla Terra a prendersi cura del piccolo. L’incidente di percorso fa sì che la ragazza arrivi quando il bimbetto indifeso, educato con amore dai genitori adottivi, ormai si è fatto un nome, una tuta gommosa rossoblù e un mantello in tinta. Pure uno slogan: “E’ un uccello? E’ un aereo? No, è Superman!”
In materia di supereroine bisogna prendere quel che passa il convento. L’ultima era in tv nel 2002: gran lignaggio – nell’universo DC Comics, la Cacciatrice risulta figlia del Cavaliere Oscuro e di Catwoman – e poco successo di pubblico, la serie finì dopo 13 puntate. Esce dalla stessa factory Wonder Woman (su carta dal 1941). Un tentativo di serie firmata nel 2011 da David E. Kelley rimase fermo al pilota: la superdonna si destreggiava tra crisi lavorative e pene d’amore, ditemi voi chi ha bisogno di un’eroina così normale, pure con il reggiseno pushup. Dall’universo Marvel, arriva il 20 novembre su Netflix una nuova serie dedicata a Jessica Jones: difficile competere con una che si chiama Supergirl e si riferisce a Superman come a “quello là”: un parente ingombrante di cui non pronunciare il nome.
La madre di Supergirl, giudice, aveva mandato in galera i criminali ora liberi, che intendono vendicarsi sulla figlia. Lei sta appena sperimentando i nuovi poteri, non è sicura che funzionino: finora ha lavorato come segretaria, portando il cappuccino bollente e gestendo l’agenda di Calista Flockhart (in modalità Miranda Priestley in “Il diavolo veste Prada”; Meryl Streep aveva più classe: ma quella era moda, non giornalismo o media). Nel frattempo il mondo ha preso l’orrenda piega dell’autostima che risolve tutto: così la poveretta, alle prese con un maciste che vuole passarla a fil di machete, viene incitata dal pubblico a casa (oops, dalla centrale di comando anti-alieni) con un bel “Devi crederci”. Beato Superman, vissuto in un’epoca in cui i superpoteri o li avevi oppure non li avevi, e non c’era bisogno di ricorrere al training autogeno. Nei panni e con gli occhiali di Clark Kent era nerdissimo, ma nelle ore di servizio la supervista e la supervelocità erano garantite.
Da applausi la scena sul tetto
Prossimamente su Italia 1, “Supergirl” vanta un attrice carina come Melissa Benoist, e una certa incertezza nella caratterizzazione del personaggio. Una ragazza come tante altre, che si affida agli algoritmi per un appuntamento al buio (“abbiamo l’82 per cento di compatibilità) e non riesce a trovare un mantello adeguato, la stoffa tende a bucarsi con le pallottole. Accanto a lei, un fotografo nero diventato famoso per aver scattato l’unica foto di “quello là”, e un vicino di cubicolo che – neanche fossimo in un film degli anni Quaranta – le sussurra “sei carina senza occhiali”. Va detto che neppure ci provano, gli sceneggiatori, a mantenere la convenzione che togliersi la montatura fa risultate irriconoscibili ai colleghi d’ufficio. E finora non abbiamo visto un cambio d’abito dentro una cabina telefonica: non lo fa più neanche “quello là”, mancanza di luoghi adatti.
Non esiste superpotere che possa evitarlo: il Dna alieno ha tenuto lontani i brufoli quando era il momento, ma non riesce a placare le rivalità con la sorella, figlia dei genitori adottivi: “quello là” in persona li ha scelti, ma lui un fratello umano tra i piedi mica lo aveva. Da applauso la scena sul tetto, quando l’apprendista “Supergirl” confida a un corteggiatore il suo segreto. Ci prova, almeno. Lei dice “non voglio più nascondere chi sono veramente”. Lui la guarda, ricorda un appuntamento a cena rifiutato e conclude: “Ecco, lo sapevo, sei lesbica”.


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