Il niente in tv
Come guadagnare 267 milioni di dollari discutendo mezz’ora sul secondo bottone della camicia.
Chi avrà mai voglia di vedere ebrei che vagano per New York comportandosi da nevrotici?”. Ebrei, al plurale, quindi la citazione non può riferirsi a Luis C. K. che nella serie “Louie” vaga per New York comportandosi da nevrotico. Né a Sarah Silverman, titolare della battuta scorticante: “Il mio fidanzato mi ha regalato una medaglietta di San Giuseppe e ha aggiunto ‘se non ti brucerà la pelle ti proteggerà’”. Neppure a Amy Schumer, che in un tweet furioso – le avevano contestato una battuta sui messicani – si è firmata “a dirty half-jew” (per parte di papà, neanche la metà giusta).
Dobbiamo andare più indietro, alle origini di “Seinfeld”. La serie “sul nulla” sarebbe andata in onda dal 1989 al 1998, ma nessuno allora lo immaginava. Nessuno aveva previsto i 267 milioni di dollari guadagnati da Jerry Seinfeld con l’ultima stagione. E c’era un’offerta di 5 milioni da moltiplicare per 22 puntate, se solo avesse concesso la decima (si accontentò dei 32 milioni annui per i diritti di replica e la copertina di Time). L’obiezione sugli ebrei nevrotici vaganti per New York era stata avanzata da Brandon Tartikoff, presidente della Nbc (nonché ebreo newyorchese, lui poteva). Gli tenne testa un altro dirigente: “non sono ebreo, non sono di New York, mi sono divertito”. Racconta l’aneddoto Jennifer Keishin Armstrong, in un libro anticipato da Entertainment Weekly (uscirà il 5 luglio, anniversario della prima messa in onda, da Simon & Schuster). Titolo: “Seinfeldia – Lo show sul nulla che cambiò ogni cosa”. I dirigenti della Nbc avevano appena visto “The Seinfeld Chronicles”, puntata pilota della sit-com. In realtà, la tv aveva commissionato a Jerry Seinfeld e al complice Larry David – il borbottone scelto da Woody Allen per “Basta che funzioni” – uno speciale di 90 minuti da mandare in onda quando il “Saturday Night Live” sarebbe stato sospeso per le meritate vacanze (non esiste lavoro più usurante che far ridere la gente). Ma il prudente Seinfeld pensava di non farcela a riempire un’ora e mezza. Decise per la mezz’ora: lezione che i comici italiani dovrebbero imparare prima che sia troppo tardi.
L’idea di Seinfeld & David (entrambi ebrei, entrambi newyorchesi, anche se – copyright Lenny Bruce – “tutti quelli che vivono a New York sono ebrei”) era mostrare come nascono le battute. Entrambi lavoravano nel genere “observational humour”: guardare le persone e catturarne le manie, i giri di frase, le ossessioni, il buffo, il ridicolo. Nel primo episodio discutono del secondo bottone della camicia (il nulla, appunto, ma raccontato benissimo), del bucato, delle ragazze che arrivano in città e chiedono di dormire una sera da te. Vuol dire che ti prendono in esame come possibile fidanzato? Oppure che un fidanzato già ce l’hanno, e ti tengono di scorta semmai dovessero mollarlo? (Si chiama “benching”, ora, ma l’equivoco – o lo sgarbo – c’erano già quando i telefoni avevano il filo). Prima che la giapponese Marie Kondo insegnasse a piegarli e diventasse ricca sul nostro disordine, già i calzini soffrivano. “Odiano la vita che fanno, tra piedi puzzolenti e cassetto buio”, sostiene Seinfeld nel suo monologo da stand-up comedian, puntuale in ogni episodio. Immagina che la lavatrice sia la discoteca dove i panni possono finalmente divertirsi un po’, tra bollicine e movimento (il calzino sta acquattato contro il cestello, pronto a fuggire appena ci distraiamo, ecco perché si spaiano). Più intrattabili delle donne e dei calzini ci sono i cuochi come il nazista della zuppa: o ordini come vuole lui, oppure ti caccia dal ristorante.
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