Turbolenze
Presto qui finirà come nel ‘Signore delle mosche’”, dice quello che ha studiato più degli altri tra i sopravvissuti a un disastro aereo. Nell’originale di William Golding l’aeroplano precipitava in mare, lasciando in vita solo qualche ragazzino di buona famiglia e qualche bambino più piccolo. Provavano a organizzarsi e a rifondare un po’ di democrazia, finivano per adorare una testa di maiale circondata da un nugolo di mosche (e del resto lo scrittore inglese era convinto che gli uomini producessero il male come le mosche producono il miele).
Il modello è nobile – i naufraghi sono intrecciati con la letteratura fin da Robinson Crusoe di Defoe, le serie sono sono oggi quel che nei secoli scorsi era il romanzo popolare a puntate. Il risultato è un po’ meno nobile. “Wrecked” (trasmessa da Tbs, la tv via cavo dei “Griffin” e di “American Dad!”, showrunner Seth MacFarlane) funziona come una sfacciata parodia della serie “Lost” di J. J Abrams e Damon Lindelof. Fa ridere se ricordiamo l’originale – le prime puntate soprattutto, quando ancora non immaginavamo le complicazioni a seguire.
Comincia a bordo dell’aereo, con uno steward che si chiude al cesso per fumare (accendino e sigaretta sono ben nascoste) e sembra la versione depressa degli steward gay di Pedro Almodovar, nel film “Gli amanti passeggeri”. Odia i viaggiatori, quando gli chiedono la copertina di pile e quando si lamentano perché un vuoto d’aria ha rovesciato il pranzo arroventato nel microonde. Finché un’altra e più definitiva turbolenza schianta l’aereo su una spiaggia.
Guardiamo “Wrecked” (scritto da Jordan e Justin Shipley) e pensiamo: “Forse sì, forse abbiamo davvero scavallato il momento d’oro delle serie, la continua richiesta di prodotto da parte delle tv fa mettere in produzione pilot non brillanti”. Del resto il talento non si può inventare, o c’è o non c’è. Né si può estendere all’infinito facendo lavorare lo stesso gruppo su progetti diversi. Nella fase uno, i talenti migravano dal cinema alla televisione. In questa fase due, manca il ricambio: i talenti vanno direttamente in televisione, e intanto le serie diventano sempre più di nicchia.
Naufragati che sono, i nostri cercano di cavarsi dai guai (e ne provocano di più disastrosi). Un giovanotto che si spaccia come membro delle Forze speciali britanniche comincia a organizzare i soccorsi, le prime a essere aiutate sono signorine carine che hanno perso l’inalatore per l’asma. Un poveretto con le gambe maciullate da un rottame viene aiutato solo quando il manager-sempre-attaccato-al-cellulare scopre che lì sotto è finita anche la sua preziosa borsa (ogni riferimento a Locke, il personaggio di “Lost” che prima del tragico volo aveva le gambe paralizzate, ha la noiosa puntualità di un compitino).
C’è una signorina che sa uccidere un cinghiale a mani nude (fatto, intanto i maschi discutono la divisione del lavoro). C’è una coppia che litiga appena marito e moglie hanno capito di essere usciti illesi dall’incidente. Ci sarebbe da ricuperare il trasmettitore dell’aereo, dopo tre giorni ancora nessuno è arrivato a soccorrere i naufraghi che si annoiano. Quindi organizzano una festa da sballo, mangiando e bevendo tutto quel che trovano (cinghiale escluso, ma tornerà utile). Ne esce una sitcom, faticosa da guardare già dopo la prima puntata. Finirà nel mucchio delle serie che non arrivano alla seconda stagione. E’ anche difficile immaginare un pubblico di riferimento: i fan di “Lost” sono serissimi, e i non fan guarderanno altro.
Mariarosa Mancuso
Il Foglio sportivo - in corpore sano