Corone e diamanti
E’ uso dei sovrani farsi ritrarre dai migliori pittori in circolazione. Enrico VIII, collezionista di mogli e mangiatore di cosciotti d’agnello (non esiste film o sceneggiato che risparmi il lauto pasto) posò per Holbein. Elisabetta I – la sovrana che mise il suo volto sulle monete del regno – appare sfarzosamente vestita e ingioiellata, nell’eterna giovinezza dall’incoronazione anche quando veleggiava verso i 70 anni (i dipinti bastano per una mostra, gliene ha dedicata una la National Gallery qualche anno fa).
Elisabetta II ha un ritratto firmato Lucian Freud: il nipote di Sigmund le mise in testa la corona di diamanti (e fu molto criticato per non aver né imbellito né ringiovanito la sovrana). Roba da poco, a confronto alle attenzioni che le ha dedicato Peter Morgan, strepitoso commediografo e sceneggiatore londinese con una predilezione per le biografie. Nel 2006 aveva scritto per Stephen Frears “The Queen”: la regina Elisabetta nei giorni successivi alla morte di Diana (con un gustoso siparietto, Chérie Blair che prima rifiuta e poi abbozza l’inchino, per non parlare della camminata a gambero, non si voltano le spalle a Sua Maestà). Nel 2013 aveva scritto “The Audience”, concentrando in un paio d’ore di magnifico teatro i colloqui settimanali della Regina con il primo ministro di turno: dodici in sessant’anni, da Winston Churchill a Margaret Thatcher (uno cercò di tenerla politicamente a battesimo, con l’altra l’atmosfera si fece elettrica). Helen Mirren ebbe la parte al cinema e a teatro – dove bastavano i giochi di luce, gli abiti, le calze rinforzate per cambiare epoca.
La celebrazione definitiva arriva con “The Crown” (su Netflix, dal 4 novembre, i dieci ricchi episodi della prima stagione). Ha voglia Peter Morgan a dichiarare – l’abbiamo letto sul New Yorker – che la regina Elisabetta è il peggio che possa capitare a uno scrittore: “Parla a monosillabi, ha scarsa intelligenza e poca immaginazione”. Lui torna a raccontarla, stavolta dagli inizi. Facendosi largo tra “Il Discorso del Re” (la balbuzie di Giorgio VI, curata da un bizzarro logopedista, dopo che Edoardo VIII aveva rinunciato al trono per Wallis Simpson) e la commedia “Una Notte con la Regina”: le giovani Elisabeth e Margaret escono da Buckingham Palace per festeggiare la fine della Seconda guerra mondiale (e tornano dopo aver combinato più guai del previsto).
Non si dedicano tanti anni a un personaggio poco attraente. E infatti dopo un po’ Peter Morgan confessa cosa lo spinge verso Queen Elizabeth, che non ha mai incontrato, e pensa che l’occasione mai capiterà. “Penso alla sua storia come al romanzo di formazione di un supereroe”. Insomma: una donna che avrebbe voluto starsene tranquilla con i suoi cani e i suoi stivali da campagna, e invece ha avuto grandi poteri e grandi responsabilità. La prima stagione comincia nel 1947, con il matrimonio, e finisce nel 1955 (in mezzo, se non vogliamo parlare solo di politica, “The Great Smog”, il grande inquinamento che nel dicembre del 1952 ammorbò la città). La seconda è già in fase di scrittura.
Va studiata, oltre che goduta, per capire come si governano le informazioni e le emozioni, come si intrecciano la Storia e i pettegolezzi familiari, con un occhio ai dettagli che fanno spettacolo. Il sovrano malato viene operato in un salone di Buckingham Palace, Churchill va a curiosare nelle cartelle cliniche, prima di uscire in pubblico serve il cerone. La giovane Elisabetta non ancora diventata regina è l’attrice Claire Foy, punta di diamante in un azzeccatissimo cast.
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