Matt Groening (foto LaPresse)

Disincanto

Mariarosa Mancuso

Il nuovo progetto per Netflix del papà dei Simpson potrebbe funzionare, pure se fantasy

Netflix continua la campagna acquisti. Fregandosene dei veti imposti dai festival cinematografici. C’è sempre il modo di aggirarli – anche Cannes finirà per cedere, esiste pur sempre la possibilità di collocare le produzioni Netflix fuori concorso. Alla Mostra di Venezia è bastato far balenare i nomi di Jane Fonda e Robert Redford: complici un paio di Leoni da assegnare alla carriera, si è subito trovato un posto per “Le nostre anime di notte”, tratto dal romanzo postumo di Kent Haruf che vanta in Italia fan sfegatati.

 

Siamo pronti per la lapidazione: la storia dei vedovi ottantenni che dormono insieme, ma solo per chiacchierare, non è esattamente travolgente. Il regista indiano Ritesh Batra – debuttò con “Lunchbox”, un amore a distanza nato dallo scambio delle schiscette che le mogli di Bombay preparano, e un sistema collaudatissimo consegna ai mariti sul posto di lavoro – dovrà metterci del suo per distanziarsi dal solito film sulle pantere grigie.

 

Incuriosisce invece il progetto di Matt Groening. Animazione, va da sé. L’inventore dei Simpson (29 stagioni e 618 episodi, una magnifica lista di guest star disegnate e in voce, un po’ di stanchezza ci sta dopo tante invenzioni) e di “Futurama” (7 stagioni soltanto, ha chiuso nel 2013, lasciandoci una certa nostalgia per la ciclope Leela, per il robot ubriacone costruito a Tijuana e per l’alieno a forma di aragosta) sta lavorando a una serie intitolata “Disenchantment”.

 

Verrebbe da tradurre “Disincanto”, ma non rende completamente l’idea. L’incanto negato non ha a che fare con le illusioni – e le disillusioni – filosofiche o politiche ma con gli incantesimi, le bacchette magiche, gli orchi, i troll, gli spiritelli e tutta la gentaglia che siamo abituati a trovare nel Medioevo fantasy. Genere che per molto tempo abbiamo detestato, a cominciare dallo Hobbit e proseguendo con il Signore degli Anelli, prima romanzo e poi film (quanto a “Animali fantastici e dove trovarli”, spin off di Harry Potter con il bestiario favolistico trasportato a New York, c’è voluto qualche giorno per riprendersi).

 

Poi c’è stato “Game of Thrones” (intanto la Hbo ha appena subito un attacco informatico, certamente a scopo di ricatto, si trema per le ultime puntate della serie e l’assegno che servirà a risolvere la faccenda). Volendo c’era stato anche l’orco verde di “Shrek”, per dimostrare che mostri e principesse non fanno sempre morire di noia, anche se le elementari sono finite da un pezzo. C’era stato nel 1974 il film “Monty Python e il Sacro Graal”, di Terry Gilliam e Terry Jones, per dimostrare che i secoli bui non necessariamente avanzano con fracasso e senza trama come nel recente “King Arthur”. E c’erano le vignette di “Il Mago Wiz”, traduzione italiana per la striscia di John Hart e Brant Parker. Bastano per dare a Matt Groening una possibilità.

 

Dieci più dieci puntate, in streaming nel 2018, racconteranno le avventure di una principessa che abita nel castello e ama sbronzarsi, accompagnata dal suo demonio personale – Luci, si immagina da Lucifero – e dal suo servizievole elfo. “Morte, vita, sesso e amore” , promette Matt Groening con il tono di chi sta dietro la bancarella di frutta al mercato. E aggiunge: “Più tutte le difficoltà della vita quando sei circondato da idioti”. Una “medieval comedy” che guarda al presente, non è che gli idioti da allora si siano estinti, né danno segno di voler imitare i panda. Sul Medioevo – scozzese, con principessina dai riccioli rossi – si era schiantata pure la Pixar con “Ribelle - The Brave”. Auguriamo a Matt Groening miglior fortuna.

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