Una scena della serie "Casa di carta"

Perché "La casa di carta" funziona

Mariarosa Mancuso

La serie di Netflix dimostra che una buona idea e una buona scrittura riescono a compiere miracoli. Prendere appunti

Per la disastrosa rapina di “Prendi i soldi e scappa”, Woody Allen si nasconde dietro il nasone, gli occhiali e i baffoni di Groucho Marx (va male perché il rapinatore passa al cassiere un biglietto, il cassiere legge “siete tutti sotto giro”, il rapinatore insiste “sotto tiro, non giro” e non la smettono di accapigliarsi). Groucho Marx anche per i rapinatori pensionati di “Vivere alla grande” diretto da Martin Brest nel 1979 (erano stufi di stare ai giardinetti facendosi molestare dai bambini). Le maschere di quattro presidenti americani – Nixon, Reagan, Johnson, Carter – servono ai surfisti che assaltano le banche in “Point Break” di Kathryn Bigelow, anno 1991.

  

Tute rosso-arancio e maschere di Salvador Dalì con i baffi all’insù e l’occhio a palla (servirà in certe inquadrature) sono la divisa di otto rapinatori che dopo aver studiato il colpo per cinque mesi di irrompono nella zecca di stato spagnola. Sono le braccia, più o meno specializzate: dall’hacker allo scassinatore con fiamma ossidrica, ma servono anche la forza bruta e un maestro di cerimonie. La mente, chiamata il Professore, ha scelto otto persone che non avevano niente da perdere, li ha messi seduti davanti alla lavagna come scolaretti, ha imposto loro nomi di città e vietato le relazioni personali – e ora da fuori si muove come un regista alla prima con il pubblico. Fa anche altro, nella serie Netflix “La casa di carta”, ma preferiamo non essere noi a svelarlo.

  

Le maschere di Dalí somigliano a quelle di Guy Fawkes, cospiratore inglese cattolico che nel 1605 tentò di far saltare in aria re Giacomo I con tutto il Parlamento. Riportato all’onore della modernità dal fumetto di Alan Moore e David Lloyd, è diventato un film di James McTeigue con il titolo “V come Vendetta” (“V per vendetta” è colpa del titolatore italiano che ha scordato le elementari). Da qui la lettura in chiave “indignados”, contro la finanza internazionale, che della serie Netflix dà il Monde. I turchi vanno di paranoia: commentatori e politici vicini a Erdogğan hanno visto già nel trailer messaggi – subliminali, sostengono – che incitano alla rivolta. Per i dietrologi nostrani interessati a intervenire nel dibattito senza darsi la pena di vedere la serie: a un certo punto intonano “Bella ciao”.

  

Deliri di interpretazione a parte, “La casa di carta” è un’avvincentissima serie su una rapina complicata, con presa d’ostaggi e una negoziatrice appena separata dal marito (malamente, per lui c’è un ordine restrittivo). Bottino stimato: 2 miliardi e 400 milioni di euro. Non vogliono i soldi che trovano nel caveau, li stampano al ritmo di 200 milioni al giorno – così tecnicamente non derubano nessuno. Poiché alla zecca lavorava un certo numero di impiegati, e c’era una scolaresca in visita – tra le allieve, la figlia dell’ambasciatore britannico – abbiamo abbastanza personaggi per rendere interessante la trama, scandita da continui colpi di scena.

  

Netflix ha comprato la serie dalla rete televisiva spagnola Antena 3. la stessa che produce “Il segreto”, soap opera quasi decennale in onda su Canale 5. Alvaro Morte che fa il Professore viene da quel vivaio, la bella Ursula Corberó (Tokyo) era in “Fisica o chimica”. Dimostrano i miracoli che una buona idea e una buona scrittura riescono a compiere: il santo da pregare qui si chiama Álex Pina. Da una tv generalista a serie che fa scattare il passaparola su una piattaforma snob. E’ bastato prendere i 15 episodi e farli diventare 22. con un’interruzione dopo le prime tredici, per far andare in crisi d’astinenza lo spettatore.

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