Viva Bojack, il cavallo meno pol. corr. della tv
Pronto soccorso. Dopo le delusioni recenti, ecco una serie interessante e di spessore
Nel dubbio, “Bojack Horseman” è un’ancora di salvezza. Viene in soccorso quando iniziare una serie nuova pare troppo impegnativo – e se poi finisce come con “Maniac” di Cary Fukunaga? Cerchiamo di combinare i pezzi del puzzle, e alla fine capiamo che non c’è quasi nulla, oltre alle allucinazioni. Viene in soccorso quando l’ultima stagione di una serie come “House of Cards” fa montare l’irritazione – per come hanno fatto fuori Kevin Spacey, per come hanno buttato via le scene già girate, per come la sceneggiatura senza Frank Underwood zoppica, per come Robin Wright diventa presidente subentrando al consorte, eliminato in stile soap opera (e le femministe applaudono, ma perché?).
Per la prossima stagione di “The Marvelous Mrs Maisel” (dopo gli 8 premi Emmy) bisogna aspettare il 5 dicembre. La quinta stagione di “Bojack Horseman” – anche le prime quattro, se non le avete viste – riempie il vuoto. E non delude. Protagonista, un cavallo-attore che negli anni Novanta andava forte in tv per la serie-nella-serie intitolata “Horsin’ Around”. Certo, è una serie animata, attorno a Bojack ci sono altri animali, man mano che le stagioni procedono sempre più somiglianti ai personaggi di “Futurama”, showrunner Matt Groening. Tipi interessanti e di spessore, a differenza di tanti attori italiani che hanno pretese artistiche e combattono Netflix con il piglio che una volta serviva per combattere il consumismo.
Depresso, Bojack passa le giornate nella sua villa losangelina (piscina con vista sulla scritta “Hollywood”). Cerca un’occasione per tornare in pista (in una stagione precedente della serie, lo avevano sostituito a metà lavorazione con una controfigura generata dal computer). Stavolta sembra fatta, sarà il protagonista di una serie intitolata “Detective Philbert”, procurata dall’agente Princess Carolyne: una gatta con un abitino stampato a pesciolini, che all’agenzia per le adozioni incontra una cicogna. Certo, a volte sembra che lo showrunner e i suoi sceneggiatori abbiano un po’ esagerato con le droghe: per esempio facendo fermare a un semaforo un’automobile piena di pesci, con l’acqua che in frenata ondeggia.
Tornano subito in loro, gli showrunner e gli sceneggiatori, riprendendo un balletto acquatico in stile Esther Williams (una ex nuotatrice che Hollywood aveva scritturato per i musical). Puntuale arriva la satira sulle nuove regole che dopo il #MeToo prevedono che sul set, a ogni scena di nudo femminile, ci si interroghi sul “male gaze”: il famigerato sguardo maschile su tette e culi. Bojack si fa portavoce dell’istanza, spiega che non va bene, che l’attrice si sente a disagio, che la scena non è necessaria. Rompe le scatole al punto che il regista (con la barba di tre giorni) per levarselo di torno gli annuncia: “Ho cambiato idea, farò spogliare te. Sarà un bel nudo frontale”. Panico. Scuse miserevoli. Tentativo di ricatto: “La madre del regista ha una gamba di legno, vado a rubarla” (sembra un racconto di Flannery O’Connor: un finto venditore di Bibbie corteggia una ragazza ingenua e povera per portarle via la gamba di legno).
È lo stesso regista che aveva detto a Bojack, critico sulla sceneggiatura e la regia della serie, oltre che sull’illuminazione appena sufficiente: “Darkness is a metaphor for Darkness” (“l’oscurità è metafora dell’oscurità”). Più avanti, l’idea di una app per fare incontrare “a-sessuali”, gente che il sesso non lo pratica. Ma allora a cosa serve? Spiega una signorina: “Non tutti gli a-sessuali sono anche a-romantici, bisogna dare loro una possibilità”.