I Soprano per sempre
E’ l’epoca in cui bisognerebbe avere una doppia vita per vedere le serie. La migliore resta una sola
Era 20 anni fa, nulla è rimasto uguale. Tony Soprano con l’accappatoio bianco, a bordo piscina con gli anatroccoli, appare sulla Hbo il 10 gennaio 1999. Per un bel po’ sarà l’argomento di conversazione: è vero che quella Golden Age, non la prima nella storia della tv americana, aveva già avuto qualche anticipo, ma “I Soprano” fecero il botto. Gli spettatori italiani aspettarono un paio d’anni, fino al 2001, per scarsa convinzione da parte dei responsabili del palinsesto: cinque episodi su Canale 5, poi su Italia 1, in orari notturni.
Adesso che le serie sono più numerose delle giornate a disposizione per guardarle – con grave danno per la chiacchiera, non c’è più un “Lost” su cui accapigliarsi – “I Soprano” restano in cima alla lista per scrittura, recitazione, invenzioni drammaturgiche. Vorremmo avere il tempo per riguardare le sei stagioni da cima a fondo – invece siamo travolti dalle nuove uscite. Nella lista delle migliori serie del 2018 compilata per il New Yorker da Emily Nussbaum c’è la categoria “serie che avrei voluto vedere perché ne dicono un gran bene, ma non ho avuto il tempo”. Qualcuno ha fatto i conti: servono 60 ore per vedere “The Wire”, altra serie imperdibile. Serve lo stesso tempo per leggere “Guerra e pace”, più “Don Chisciotte”, più “Moby Dick”, più “Delitto e castigo”. “I Soprano” contano 86 episodi di un’ora, interrotti il 10 giugno 2007 con una dissolvenza: ci sta qualcosa ancora per completare la bibliotechina dei classici.
Era la tv di vent’anni fa. Gli attori erano scelti dai responsabili del casting, e poi sarebbero diventati star (il passaggio inverso non era neanche concepibile). I registi non provenivano dal cinema, ma da altre serie televisive (ora fanno la fila per passare dal cinema a misura di blockbuster, con tempi decisionali lunghi, alla televisione che decide in fretta, o alle piattaforme streaming affamate di prodotto e attente alle nicchie). James Gandolfini era un attore non di primissimo piano, uno sceneggiatore come Matthew Weiner aveva già nel cassetto i pubblicitari di “Mad Men” ma nessuno li voleva. Siccome si parlava di mafia, le associazioni che difendono il buon nome degli italoamericani protestarono. Nessuno ha pronunciato una sola parola contro la Napoli ricostruita per “L’amica geniale” di Saverio Costanzo: è l’Italia che piace, miserabile e pittoresca, vociante e sguaiata.
I fanatici aspettano “The Soprano Sessions”, tutto quel che avreste voluto sapere su “I Soprano” e non avete mai osato chiedere. Lo hanno scritto, per celebrare il ventennale, Matt Zoller Seitz e Alan Sepinwall (suo il saggio “The Revolution Was Relevised”, da Rizzoli con il titolo “Telerivoluzione”). Finalmente avremo certezze su chi pronunciò la frase “il cunnilingus e la psicoanalisi ci hanno portato alla rovina”. Sintomo inequivocabile, per la famiglia mafiosa, che il meglio era passato, l’avevano goduto i padri e i nonni.
Nelle situazioni complicate, Tony Soprano si chiede: “Cosa avrebbe fatto Don Vito Corleone al posto mio?”. Mai si era visto un mafioso con il Prozac nel taschino (“lavoro nel settore rifiuti” dice Tony Soprano alla dottoressa Melfi, mentre vediamo il cadavere di un nemico smaltito in discarica). Dicono a Hollywood che la buona idea per un film deve poter essere sintetizzata in poche parole. Vale anche per le serie, e David Chase ha avuto quella giusta: mettere insieme l’omertà del “negare sempre” con la regola di Freud che impone di dire tutto, ma proprio tutto, quel che passa per la testa.