Big Little Meryl Streep
Tornano le signore di Monterey nella seconda stagione di Piccole Grandi Bugie. Ed è un successo
Dentoni finti e parrucca. Così equipaggiata Meryl Streep conquista la seconda stagione di “Big Little Lies”, tratta dal romanzo di Liane Moriarty (su Sky Atlantic, dallo scorso 18 giugno). Aggiustamento in corso d’opera, era nata come miniserie e come tale aveva vinto 8 premi Emmy e 4 Golden Globe nel 2017: troppi, oltre al successo di critica e di pubblico, per non stuzzicare un bis. La trama di “Piccole grandi bugie” (Mondadori) era andata esaurita nei primi 7 episodi, ma non c’è nulla che uno sceneggiatore bravo e deciso, con il beneplacito e la collaborazione della scrittrice, non riesca a escogitare se i personaggi sono ben congegnati.
Amiche e rivali, felici e infelici, ricche e povere – custodi del segreto sull’incidente capitato a Perry Wright, il marito violento di Nicole Kidman caduto dalle scale durante una festa di beneficenza a tema Elvis Presley/Audrey Hepburn – le signore di Monterey tornano con qualche aggiustamento. La spigolosa Renata (Laura Dern, un mostro di bravura) si ritrova con un marito in bancarotta, nell’inventario finiscono anche il Rolex e la fede nuziale, ma non rinuncia alla sfarzosa festa per la figlia. Madeline (Reese Witherspoon) è in crisi con il marito nuovo, causa corna, e con la figlia che invece di andare al college vuole mettere all’asta su internet la verginità. Il precedente consorte, padre della venale fanciulla, si era messo con la giovane hippie vegana Bonnie, faccia e capelli rasta di Zoë Kravitz, dall’umore un po’ scontroso. La ragazza madre Jane (Shailene Woodley) ha trovato un lavoro, ormai sappiamo chi è lo stupratore padre di Ziggy, che si ritrova due fratellastri nella stessa scuola. Celeste soffre per il marito morto, e per i lividi dell’ultimo pestaggio.
Entra Meryl Streep, con i dentoni (per meglio somigliare al figlio Perry) e la parrucca (per un generale imbruttimento che nasconde un’anima nera). Arriva fingendo le migliori intenzioni, vuole aiutare la nuora vedova con i due ragazzini a carico. L’inchiesta sulla morte di Perry non è in effetti chiusa e ancora ricordiamo la fantastica foto segnaletica con le cinque sospettate in maschera. La vita nella cittadina californiana in riva all’oceano ostenta normalità: i segreti e le bugie inconfessabili sono uno strato sotto ai veleni e alle ipocrisie di tutti i giorni.
Lupo in veste d’agnello, Mary Louise Wright vuole scatenare l’inferno. Da mamma amorevole, non crede che il figlio possa essere stato un marito violento, meno che mai uno stupratore: lei lo ha cresciuto come si conviene, a casa era buono e gentile. Quindi si piazza in casa di Celeste, per sventura (di Celeste, confusa ma soprattutto imprudente) adiacente alla stanza della vedova che nel sonno urla, di giorno nutre i gemelli con barrette proteiche, all’occasione rimorchia uno sconosciuto in un bar. La suocera torna prima del dovuto con i bambini e si imbatte in un giovanotto seminudo che sbuca dalla stanza da letto, mentre Celeste non ricorda nulla, intontita da alcool e psicofarmaci.
Il regista della prima stagione – il belga Jean-Marc Vallée di “Dallas Buyers Club” e di “Wild” – convinto che la serie fosse chiusa aveva firmato il contratto per dirigere “Sharp Objects”. Ha passato il testimone alla regista inglese Andrea Arnold, che conoscevamo per le sue incursioni nel proletariato britannico, con “Fish Tank” e “Red Road”. Suo anche il più bel film tratto da “Cime tempestose”, con Heathcliff trovatello di pelle scura nella brughiera, come lo aveva immaginato Emily Brontë. Nella California dei ricchi si muove benissimo.