I limiti dell'accoglienza, i limiti dell'integrazione, la gran lezione di Cameron

Claudio Cerasa

    Al direttore - Nella gestione dell’emergenza dei “migranti” (che poi sarebbe più corretto chiamarli “profughi”), al di là degli aspetti pratici nel breve periodo e di quelli finanziari nel medio (chi paga?), c’è una questione di lungo periodo che dovrebbe preoccuparci ancora: questa moltitudine che vede nell’Europa la terra promessa è attratta dalla nostra idea di libertà in opposizione all’oppressione islamista dei tagliagole o brama solo la pace e la sicurezza economica? Insomma, sono in un certo senso dei “dissidenti” ostili all’islam politico o sono profughi tout court? Lo Stato islamico, che dall’esodo in atto riceve ovviamente pessima pubblicità, dipinge propagandisticamente i profughi come dei “traditori”; ma gli uomini del Califfo, si sa, hanno il vizio del manicheismo. La realtà è invece fatta di sfumature e quello che è un profugo contrario alla decapitazione di giornalisti americani o allo sterminio di yazidi può nello stesso tempo essere un islamico tradizionalista, fedele alla sharia e sostenitore di una via pacifica all’affermarsi di Eurabia (vale a dire mediante gruppi di pressione e non accoltellando le poliziotte tedesche). Non vorrei ci trovassimo un giorno a rimpiangere di non aver fatto come quei brutti, sporchi e cattivi degli ungheresi.
    Daniele Montani

     

    I confini dell’accoglienza non riguardano solo le frontiere ma riguardano anche il limite che ogni paese sceglie di mettere in pratica quando si parla di integrazione. Se è vero che è una stupidaggine sostenere che sia possibile accogliere tutti (i confini vanno governati) credo sia altrettanto una sciocchezza sostenere che deve essere chi accoglie il primo ad aprire il cuore verso chi chiede accoglienza. Non è così. L’accoglienza ha senso se chi viene accolto si adatta agli altri, e nel caso specifico si adatta alla nostra libertà. Sacrificare la nostra libertà in nome di un generico rispetto di altre sensibilità e di altre culture è peggio che aprire in modo indiscriminato i nostri confini. Vale la teoria di David Cameron: “Sotto la dottrina del multiculturalismo di stato, abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite separate, staccate l’una dall’altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società, alla quale sentissero di voler appartenere. Tutto questo permette che alcuni giovani musulmani si sentano sradicati… Una società passivamente tollerante rimane neutrale tra valori differenti. Un paese davvero liberale fa molto di più. Esso crede in certi valori e li promuove attivamente… Francamente è venuta l’ora di chiederci: questi gruppi credono nei diritti umani universali, inclusi i diritti delle donne e quelli di persone di altre fedi? Credono nell’eguaglianza di tutti davanti alla legge? Credono nella democrazia?”.

     

    Al direttore - Non so se il nuovo ideale – la Grundnorm – sia paradossalmente diventato quello di non essere né di destra, né di sinistra, ma di riflettere la contemporaneità, come si afferma nell’intervista resa al Foglio del 18 settembre dall’ing. De Benedetti. Scompaiono, così, non solo le ideologie, ma  anche gli ideali e ci si deve concentrare – stando all’intervistato – sugli interessi per governare la “polis”. Ma chi sceglie gli interessi da sostenere? Come si stabilisce una scala di priorità? Sono annullati i giudizi di valore? E se ciò non è, non accade che gli ideali cacciati dalla porta rientrano dalla finestra? Insomma, il metro qual è? Il mercato? L’intervistato rivendica l’opposizione del proprio gruppo editoriale a Berlusconi: ma ciò è avvenuto in nome di ideali o di interessi? Modernità, contemporaneità, velocità, adattabilità sono concetti che solo in superficie possono suscitare condivisioni: andando a fondo, ne risalta la vacuità ed emergono le contraddizioni, sicché le divisioni si ripropongono, senza che possa celebrarsi il funerale della sinistra e della destra.
    Angelo De Mattia

     

    Al direttore -  Rodolfo Maria Sabelli, numero uno dell’Anm, confonde i magistrati con la giustizia: credo sia la prova documentale che non è adatto a fare il magistrato.
    Alberto Savoini

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.