Ragioni per cui la cyberdemocrazia alimenta la produzione di bugie. Lettere al direttore
Chi ha scritto a Claudio Cerasa il 18 novembre 2016
Al direttore - Solidarietà a De Luca.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - La Turchia si sente ormai fuori dall’Europa prima ancora di esserci entrata: una sorta di Turexit, che alimenta un nazionalismo esasperato come unica risposta possibile alla paura di un occidente proteso a ridisegnare i confini territoriali nello spirito dell’odiato (dai turchi) accordo di Sèvres. A suo modo la questione curda è decisiva. Per Erdogan partiti di curdi e partiti di fondamentalisti islamici sono tutti egualmente terroristi: la sua maggior preoccupazione è di spezzare ogni premessa territoriale di embrione di uno stato curdo che funga da attrazione per le province orientali della Turchia. Quale destino per i curdi presagiscano Washington e Bruxelles non si è mai capito e anche questo contribuisce all’enigma turco.
Luigi Compagna
Al direttore - Nell’adunata di Firenze, Matteo Salvini ha cambiato musica. Al posto di Giuseppe Verdi ha ingaggiato Giacomo Puccini. Eppure la Lega di Umberto Bossi intonava in ogni occasione il “Va’ pensiero” del Maestro di Busseto. Il fatto è che, per farlo “andare”, un pensiero occorre prima di tutto averlo.
Giuliano Cazzola
Al direttore - Matteo: “Basta alla costruzione di muri con i nostri soldi!”. Schäuble: “Basta alla costruzione di soldi con i nostri muri!”.
Roberto Brazzale
Al direttore - Diceva Ennio Flaiano che, se il “medium è il messaggio”, è il postino che dobbiamo leggere, non le sue lettere. Fuor di battuta, basta possedere il medium, ossia avere buone risorse comunicative, per disporre del messaggio (e dunque manipolare e ingannare a proprio comodo). Dopo la Brexit e la vittoria di Donald Trump, l’Oxford Dictionary ha scelto “post-truth”, post-verità, come parola internazionale dell’anno. Ma almeno da un quindicennio c’è un vero boom degli studi “sull’èra dell’impostura”. Basta leggere un aureo volumetto di Franca D’Agostini (“Menzogna”, Bollati Boringhieri, 2012) per farsene un’idea. Ora, che l’esplosione del Web sia coeva all’ascesa di movimenti e partiti populisti in tutto l’occidente non può essere una pura coincidenza. Dico subito che a mio avviso occorrerebbe una volta per tutte spogliare il concetto di populismo dalle connotazioni valutative che ne hanno fatto una dirty word, una parolaccia. Il politologo inglese Paul Taggart lo definisce “servitore di molti padroni”, perché “il populismo è stato uno strumento dei progressisti, dei reazionari, degli autocrati, della sinistra e della destra”. E gli attribuisce “un’essenziale capacità camaleontica, nel senso che acquisisce sempre il colore dell’ambiente in cui si manifesta” (“Il populismo”, Città aperta, 2002). Il populismo è al massimo una “ideologia debole”, nelle cui manifestazioni storiche sono tuttavia ricorrenti alcuni elementi distintivi: primo tra tutti l’appello diretto al popolo, senza mediazioni istituzionali, contro le élite. Ciò premesso, per rispondere al suo quesito (se i social network amplificano semplicemente o favoriscono il populismo) bisogna tenere presente che le bugie su internet sono avvantaggiate da alcuni fattori: la possibilità dell’anonimato; la possibilità di raggiungere rapidamente un vastissimo numero di persone: il fenomeno delle “cascate” informative. Siamo quindi ben lontani da quella “cyberdemocracy” contraria a ogni oligarchia intellettuale e politica immaginata da Nicholas Negroponte, e da altri profeti del web come Gianroberto Casaleggio. Non voglio dire che internet ci rende ineluttabilmente stupidi o più bugiardi, come sosteneva anche Umberto Eco. Riflettiamo però su un punto. Come osserva D’Agostini, mentre agli albori della cultura digitale si pensava che la nuova “trasparenza” e le nuove opportunità di partecipazione avrebbero dato un colpo decisivo alle concentrazioni di potere, e ai vertici di gestione delle conoscenze, oggi tutti sanno che la massa delle informazioni è governata da tre o quattro gruppi dominanti, i quali possono decidere la sistematica violazione della verità fattuale, rendendo difficile lo smascheramento del falso (della bufala virale). In questo senso, non c’è da stupirsi se il “chiunque” trionfatore del web si trasforma in un professionista della provocazione. Giochi di parole di dubbio gusto, attacchi personali, evocazioni sospette, volgarità gratuite, l’odio per l’establishment: non sono forse i grandi protagonisti del teatro populista?
Michele Magno