Paragoni referendari e psicologia dei leader. Ci scrive Monica Maggioni

Chi ha scritto a Claudio Cerasa il 7 dicembre

Al direttore - Il referendum del 4 dicembre è, somigliante nei numeri a quello del 1974 sul divorzio. Allora il Sì, “volete abolire il divorzio?” prese 13 milioni di voti (41 per cento) , il No 19 milioni (59 per cento). Votò l’87 per cento degli elettori (33 milioni di persone). Numeri quasi uguali a quelli di domenica. Il referendum fu una débâcle per la Dc. Che però dopo quel voto non tracimò. Ci fu, certamente una spinta a sinistra (oggi è populista) ma nelle elezioni successive al referendum (regionali del 1975 e politiche del 1976) la Dc non solo non perse le elezioni ma restò primo partito, recuperando quasi tutti i voti del Sì nel ’75 (ben 11 milioni di voti su 13) e, addirittura, crescendo a 14 milioni di voti nel 1976. Il tracollo al referendum non si trasformò nella sconfitta della Dc. La vera novità politica fu che Berlinguer (il Pci fu il vero vincitore del No al referendum) propose alla Dc un patto: il compromesso storico. Nella sostanza: dopo aver perso la battaglia del referendum la Dc vinse la guerra delle elezioni. Il professor Galli Della Loggia, storico apprezzato, oltre che fare il critico di costume, circa la simpatia o meno di Renzi, potrebbe ricordarci quel passante. Non è scritto che a un referendum perso debba seguire la lunga traversata del deserto. Quella che alcuni, maldestramente, consigliano a Renzi.
Umberto Minopoli


Al direttore - L’eccellente Umberto Silva spiega l’influenza dell’odio e dell’invidia nel voto referendario. La mia opinione è che c’è molto di più o forse molto di meno. Siamo in fondo divenuti un popolo violento corrotto e ipocrita, che si merita politicanti che urlano e imprecano, vecchi rancorosi e inaciditi, aggrappati alle loro poltrone, in sostanza, come ha scritto Recalcati, padri che ostacolano i propri figli piuttosto che sostenerli nel loro cammino. I miei studi preferiti, sulle orme di Delio Cantimori, hanno riguardato e riguardano gli eretici del Cinquecento e la Controriforma. Ecco, da qui, dalla Controriforma, siamo divenuti un popolo che non conosce il rigore e la serietà ma soltanto il comico e il melodramma.
Sandro Bondi

 

Al direttore - E’ noto l’aforisma attribuito a Nietzsche secondo cui “i fatti non esistono, esistono solo le interpretazioni dei fatti”. Affermazione che magari può suonare eccessiva, ma fino a un certo punto. Se uno, per dire, la volesse applicare all’esito del referendum, si renderebbe facilmente conto che la vittoria del fronte del No è in realtà una vittoria di Pirro, e che Renzi continuerà ad avere (se lo vorrà, ovvio) un ruolo centrale nella politica italiana ancora a lungo. Perchè è vero che il No ha preso il 60 per cento e Renzi, ovvero il Sì, ha ottenuto il 40 per cento (fatto); ma è altrettanto vero (interpretazione del fatto) che quel 60 per cento ha agglomerato voti che singolarmente presi provengono da partiti e movimenti differenti, cioè da gente che se si votasse domani stesso su qualsiasi altra questione andrebbe ognuna per la sua strada, mentre invece il 40 per cento che ha votato a favore della riforma proviene quasi interamente da una sola parte politica. Il che vuol dire che in valore assoluto, stand alone, Renzi ha ancora dalla sua la maggioranza dei voti, con buona pace di chi domenica sera ha stappato lo spumante. E questo lo sa Renzi e lo sa chiunque abbia, soprattutto tra i suoi avversari, soprattutto quelli della sua stessa parrocchia, un minimo di acume e lucidità. Non solo la parabola politica del premier uscente non sembra essere finita, ma con le mosse giuste e, soprattutto, un bel bagno di umiltà, potrebbe uscirne addirittura rafforzato. Il che, vista e considerata la classe politica italiana che ci ritroviamo e le riforme di cui il paese comunque necessita, potrebbe non essere esattamente una sciagura. A meno di non voler consegnare l’Italia nelle mani di chi, ormai dovrebbe essere chiaro, ha deciso di non chiamarsi partito bensì movimento solo per aggirare l’ostacolo della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione: quella che vieta la ricostituzione del partito fascista.
Luca Del Pozzo 

 

Al direttore - Penso che il presidente di una grande azienda come Rai non debba mai scendere sul piano della replica al gossip di corridoio, soprattutto quando anonimo. Oggi invece ti scrivo poiché ieri ho letto sul tuo giornale alcune volgari calunnie nei miei confronti che non possono rimanere senza smentita. Tralascio dunque le insensate chiacchiere di corridoio per rispondere solo alla falsità grave secondo cui io avrei consegnato il cosiddetto “piano Verdelli” all’Espresso, provocando un danno – quantomeno di immagine – alla mia stessa azienda. Mi limito a ricordarti che, insieme con il direttore generale, abbiamo dato immediatamente il via a un’indagine interna a tutto campo per individuare il responsabile. Stiamo aspettando il risultato dell’audit e spero che il nome di chi ha divulgato quelle informazioni arrivi presto anche sul mio tavolo. Credo sarà un momento istruttivo per tutti e alle falsità del vostro Max risponderanno i fatti.
Monica Maggioni, Presidente Rai

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