Onu e Israele: Trump stavolta l'azzecca. Aiuto, gli ultracorpi intermedi
Le lettere al direttore di giovedì 29 dicembre 2016
Al direttore - A proposito della risoluzione n. 2334 dell’Onu, sugli insediamenti in Cisgiordania, è il caso di ricordare quanto scriveva, nell’agosto 1967, una “grande anima’’ come Martin Luther King nella sua “Lettera ad un amico antisionista’’: “Pace per Israele significa sicurezza, e dobbiamo con tutti i nostri mezzi proteggere il suo diritto ad esistere. Israele è uno degli importanti avamposti della democrazia nel mondo, è un meraviglioso esempio di come una terra arida può essere trasformata in un’oasi di tolleranza e di democrazia’’. E, dopo aver ribadito che l’antisionismo significa negare al popolo ebraico quel diritto fondamentale che viene riconosciuto a tutte le altre nazioni del mondo, il reverendo King concludeva: “Al giorno d’oggi però, in Occidente, proclamare che si odiano gli ebrei è diventato molto impopolare (purtroppo è sempre meno così, ndr). Di conseguenza, l’antisemita deve costantemente inventare nuove forme e nuove sedi per il suo veleno. Deve camuffarsi. E allora dice di non odiare gli ebrei, ma di essere “antisionista”.
Giuliano Cazzola
Non sappiamo cosa succederà il 20 gennaio, e se davvero cambierà qualcosa nei rapporti tra America e Israele con il passaggio da Obama a Trump. Sappiamo però che questa volta Trump l’ha azzeccata: “Non possiamo continuare a lasciare che Israele sia trattato con un tale sdegno e disprezzo. Una volta erano grandi amici degli Stati Uniti, ma ora non più. L’inizio della fine è stato l’orribile accordo sul nucleare iraniano, e ora questo (l’Onu)! Sii forte, Israele, il 20 gennaio arriverà presto!”.
Al direttore - Ho letto con molto interesse l’articolo di Alfonso Berardinelli su Calvino (il Foglio, 28 dicembre). Il ritratto velocissimo che Berardinelli fa di Calvino è davvero suggestivo: “Pessimista reticente e mascherato”, “criptomoralista” (“un moralismo che non emette giudizi, ma propone con sorridente discrezione un modo di essere contro un altro”). Verrebbe voglia di chiedere a Berardinelli di scrivere una sua contro-storia della letteratura italiana novecentesca tutta così, rapida, infastidita e anche un po’ spietata. Perché poi si coglie, nemmeno troppo sottotraccia, che a Berardinelli non sta granché simpatico l’autore del “Barone rampante”. E da questo deriva la chiusa del pezzo, severissima: “Se confrontiamo la letteratura secondo Calvino con la letteratura secondo Montale e Gadda, i due autori più celebrati che lo hanno preceduto, si nota subito una perdita”. Può darsi che sia così, ma c’è da fare i conti con quanto appaiano ormai terribilmente invecchiati i due “maggiori”. Grandi, grandissimi, per carità; morti l’altro ieri eppure ormai quasi infrequentabili. Simboli di un Novecento quasi afono e sempre meno traducibile. Calvino ha scavalcato il suo secolo, invece. Che sia un pessimo segno dei tempi, può darsi (Berardinelli lo legge forse come tale). Ma è una questione che non può essere aggirata, andrebbe presa di petto, e riguarda più noi – noi umani in transito nel Ventunesimo secolo, voglio dire – che la storia della letteratura.
Paolo Di Paolo
Al direttore - Caro Cerasa, chi prova a disintermediare per ricostruire, purtroppo, è sconfitto. Chi prova a disintermediare senza costruire nulla di nuovo o distruggendo quanto già esiste ne esce vincente. Speriamo non sia, ora, la volta del Jobs Act.
Lorenzo Lodigiani