Lo spasso dei sindacati: tradiscono la Costituzione che difendono. Un caso
Al direttore - Quando il diavolo ci infila la coda. I voucher? Crucifige. Eppure, un brillante scoop giornalistico ha rivelato che il sindacato pensionati della Cgil di Bologna usa i voucher per retribuire una cinquantina di attivisti che prestano la loro attività per qualche ora alla settimana. Nulla da dire. E’ una scelta corretta sul piano giuridico e razionale su quello pratico, visto che si tratta di pensionati e di lavoro accessorio. Ma la notizia mette allo scoperto un’enorme coda di paglia della Confederazione di Susanna Camusso promotrice di un referendum per abrogare questa modalità di pagamento che lei paragona ai “pizzini’’. Imbarazzato, il segretario del sindacato, Valentino Minarelli, dichiara che “a Bologna siamo costretti ad usarli’’ (da chi e perché, se non per l’utilità dello strumento?), ma vogliamo abolirli’’.
Giuliano Cazzola
Meraviglioso. Così come è meraviglioso (a) che il sindacato dopo aver difeso la Costituzione non abbia ancora deciso di applicare a se stesso ciò che prescrive la Costituzione, in particolar modo l’art. 39 (obbligo di registrazione e validità erga omnes dei contratti collettivi) e l’art. 46 (è un diritto dei lavoratori collaborare alla gestione delle aziende); e che (b) gli stessi sindacati che oggi chiedono a gran voce la riabilitazione dell’articolo 18 (lo segnala un nostro lettore, Giovanni De Merulis) si siano dimenticati di inserire nella proposta referendaria l’art.4 della legge 108/90, quella, per capirci, che esclude dall’applicazione dell’art 18 i dipendenti dei partiti e dei sindacati, compresa la Cgil. Fantastico no?
Al direttore - Insisto. Sono anni, da quando iniziò il dibattito sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori con tanto di milionate di lavoratori portati in piazza, che mi domando e domando per quale motivo tutti gli strenui difensori dell’art. 18 e attuali sostenitori del suo ripristino, anzi, dell’estensione della sua applicabilità, si siano sempre dimenticati di chiedere, attraverso attività politiche, manifestazioni, raccolta di firme referendarie o qualunque altro metodo, scioperi magari, l’abrogazione dell’art. 4 della legge 108/1990 che risale quindi ormai a oltre 25 anni fa, prima di Cofferati, prima della Camusso, quando D’Alema e Bersani avevano potere decisionale e di iniziativa politica molto maggiori di oggi e c’era ancora la Ditta, che esclude i dipendenti di partiti e sindacati, compresi i dipendenti della Cgil, della Cisl e della Uil, anche quelli della Fiom di Landini e dei Cobas, insomma per capirci anche quei tanti giovani che lavorano come negri nei Caaf, per esempio, dall’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Qualcuno che può ottenere risposta, prima o poi porrà questa domanda a uno qualunque di questi signori difensori di tutti i lavoratori, esclusi i loro stessi dipendenti?
Giovanni De Merulis
Al direttore - Non accadeva dal 1959. L’anno scorso i prezzi al consumo, secondo l’Istat, hanno registrato una variazione negativa dello 0,1 per cento come media di anno. Se l’inflazione si ha quando i prezzi salgono, la deflazione indica un calo di prezzi e scaturisce da un rallentamento delle spese dei consumatori e delle aziende. E’ la prova negativa che la domanda di beni e servizi è debole e quindi che l’economia non gode di buona salute. L’attesa ripartenza della spesa da parte delle famiglie italiane non si è verificata. Negli ultimi otto anni i consumi sono addirittura calati di 80 miliardi di euro. La preoccupazione per un futuro assai incerto non incoraggia né gli investimenti né acquisti non strettamente necessari.
Fabio Sìcari
Al direttore - Antonio Di Pietro parla di “utilizzo abusivo che viene fatto dell’avviso di garanzia per criminalizzare anzitempo chi lo riceve”. Oggi mi aspetto una dichiarazione di Silvio Berlusconi sull’importanza della castità.
Vincenzo Clemeno
Al direttore - A distanza di poco più di due secoli sembra riaffacciarsi una sorta di nuovo Congresso di Vienna con la sua restaurazione dell’ordine pre-rivoluzionario dopo la fine delle guerre napoleoniche. Dopo venti anni di una terribile ubriacatura che ha messo in soffitta non solo la forma partito ma anche le grandi culture che le ispiravano, dopo l’oppressione di un pensiero unico in economia che ha consentito il saccheggio del paese da parte dell’industria e della finanza internazionale e dopo la furia iconoclasta dell’antipolitica con annessa “ratio” di essere tutti più eguali nella povertà sembra svolazzare qualche rondine per annunciare, forse, una nuova primavera. I segnali, per piccoli e necessitati che siano, vanno infatti nella direzione di una restaurazione non conservatrice come peraltro avvenne per lo stesso Congresso di Vienna che rimettendo sul trono i vecchi sovrani avviarono, anche se lentamente, la trasformazione delle monarchie assolute in monarchie costituzionali. Ci riferiamo ad esempio alla riesumazione del principio di legittimità e di equilibrio che, mutatis mutandi, erano i princìpi posti alla base del Congresso di Vienna. La grande vittoria del No al referendum costituzionale non è forse la riconferma popolare del principio di legittimità di un Parlamento che non può più essere un Parlamento di nominati ma di eletti? E il 60 per cento degli italiani non ha forse chiesto a gran voce il ripristino di un principio di equilibrio tra i poteri dello stato a fronte di un impulso onirico che vedeva, nella sostanza, un uomo solo al comando con la sua corte per rendere più efficiente una democrazia che intanto si smantellava? E come sempre capita nei processi politici gli effetti domino rischiano di farla da padrone. Non è un caso che la pessima figura di una delle più grandi banche d’affari, la JP Morgan, nel processo di ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena abbia aperto le porte a un rientro dello stato in alcuni asset strategici come il sistema finanziario, mettendo al tappeto quanti in questi anni hanno ritenuto che lo stato dovesse ritirarsi totalmente da qualunque presenza nell’economia e nella finanza. Non sono forse alla canna del gas quanti sostenevano che il mercato fosse il migliore distributore di ricchezza dopo che hanno alimentato le intollerabili diseguaglianze alle quali si è affiancato da circa 25 anni l’arresto della crescita economica? E per concludere sui guasti degli ultimi 25 anni, non è forse giunto il tempo di ripristinare all’interno dei partiti democrazia e collegialità dopo la sbornia bonapartista dei partiti personali? Le condizioni per una svolta a un tempo restauratrice e progressista ci sono proprio tutte e quel fenomeno chiamato populismo altro non è che il rifiuto netto e forte di un governo di quelle élite inadeguate, complici della grande finanza e sorda ai crescenti bisogni di una società che si sta drammaticamente impoverendo. Qualche segnale di una inversione di marcia nel nostro paese, ma anche in altre società nazionali, c’è ma non c’è dubbio che l’Italia sia stata il paese europeo dove il disordine istituzionale, economico e sociale sia stato più profondo e più diffuso. Sembra strano ma anche il Congresso di Vienna fu influenzato da un grande politico di una nazione sconfitta, il francese Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, e il Talleyrand di oggi è quel Sergio Mattarella che fu vicesegretario e ministro di quel partito, la Democrazia cristiana, che, sconfitta da armi improprie, costruì l’Italia del Dopoguerra insieme ai partiti laici e socialisti lasciando crescere democrazia e benessere e sconfiggendo populismi e terrorismi. La prudenza naturalmente è d’obbligo e una rondine, come è noto, non fa primavera così come, però, è altrettanto vero che la politica ha una sua propria forza e prima o poi la primavera arriverà.
Paolo Cirino Pomicino