Quattro anni dopo B-XVI. Renzi e un silenzio d'oro. Auguri al Tg5

Al direttore - Dice che Fca taroccava i software, e poi per scegliere i modelli hanno organizzato le macchinarie.

Giuseppe De Filippi

 


Al direttore - Tra qualche settimana saranno quattro anni dalla clamorosa rinuncia di Papa Benedetto XVI. Pur con tutto il rispetto e l’ammirazione per il grandissimo teologo nascosto sotto l’umile Pontefice, continuo a pensare che le dimissioni furono un errore. E, anzi, guardando a ciò che sta accadendo alla e nella chiesa, ne sono più convinto ora di allora. D’accordo, un uomo solo non può fare molto contro forze più grandi di lui. E che in questi anni la chiesa sia stata, e lo sia tuttora, sconquassata da venti di tempesta, è sotto gli occhi di tutti. Già fin dall’ultimo periodo del pontificato di Giovanni Paolo II, e più ancora dopo la sua morte, gli ambienti (interni ed esterni) che volevano (e vogliono) imporre una svolta aperturista ad ampio raggio provarono a indirizzare le cose in un certo modo. Ovvio che l’elezione nel 2005 di Papa Ratzinger, braccio destro del santo Papa polacco per quasi un quarto di secolo, non poteva essere ben accolta. E fu così che i novatori si rimisero all’opera, facilitati anche da un clima culturale certo non benevolo nei confronti di Benedetto XVI. Il resto è storia nota. Il punto però è che proprio quando la barca è scossa che un Papa è chiamato a essere Pietro, cioè la roccia che, non a caso, Cristo ha posto a capo della chiesa. L’essenza del mandato petrino è questa: confermare nella fede i fratelli, non di essere una brava persona. Per un cattolico ciò che conta è vedere che nel momento della prova, del dubbio, del conflitto, qualsiasi esso sia, Pietro non vacilla, e anzi è pronto a testimoniare fino alla fine quella fede senza la quale non hanno alcun senso né il cristianesimo né la chiesa. Come disse Cristo a Paolo: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Certo, la chiesa è andata e andrà avanti lo stesso perché, è bene ricordarlo, è Dio che la porta avanti; ma resta il fatto che a volte si fa fatica a scorgerne l’impronta.

Luca Del Pozzo

 


Al direttore - Caro Cerasa, sono un lettore del Foglio e un telespettatore del Tg5. Ho festeggiato con voi il vostro ventesimo compleanno lo scorso anno, acquistando un abbonamento digitale, e vorrei cogliere l’occasione dello spazio delle lettere per fare gli auguri al Tg5: sono 25 anni, lunga vita. Grazie!

Marco de Marino

 

Viva, auguri!

  


Al direttore - Trovo curiose le insistenti lamentazioni di diversi opinionisti sul “silenzio” di Renzi: prima non lo sopportavano perché parlava troppo, adesso la sua assenza dai media viene definita “patologica” nonché il segno di una assenza di riflessione sulla sconfitta referendaria. (Cosa si aspettavano, apparizioni quotidiane in tv con cappello d’asino stile rivoluzione culturale? Sedute di autocoscienza nelle sezioni del Pd?). Forse si stanno rendendo conto che senza Renzi la politica italiana è di una noia mortale, al punto che non vale neppure la pena di sfogliare i giornali (fatta eccezione per il Foglio, naturalmente).

Prof. Biancamaria Fontana

 

Mai come in questo momento il silenzio di Renzi è d’oro. Serve tempo al segretario. Serve una nuova strategia. Serve una nuova idea di partito. Serve una nuova visione riformista che sappia superare lo choc referendario. La rivincita si costruisce con un nuovo progetto, non con una vendetta. E aver fretta di andare a votare oggi equivarrebbe a cercare una vendetta. Non serve. Meglio il 2018.

 


Al direttore - Prima i capitani coraggiosi, poi gli arabi. Nessuno riesce a risollevare Alitalia e ogni anno ci si ritrova a domandarsi come fare e quale astruso piano concepire per salvare la cosiddetta compagnia di bandiera. Che Alitalia non possa competere a livelli internazionali è un’ovvietà da almeno sedici anni e la speranza di vincere la sfida puntando tutto sull’alleanza con Etihad era una pura utopia, quando il mercato è saldamente nelle mani di Air France, Lufthansa e British Airways (solo per rimanere in Europa). Con un quarto dei velivoli a disposizione dei principali competitor, dove si voleva andare?

Roberto Frediani

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