Ma la politica energetica la fanno i ministri o le procure? Indovinato. Che slurp Zagrebelsky
Le lettere al direttore di sabato 14 gennaio
Al direttore - Ma chi la fa la politica energetica in Italia? Il ministero? L’Autorità per l’energia? Le leggi e i regolamenti? Anche. Ma soprattutto le procure della Repubblica e i tribunali amministrativi. Il caso del carbone è esemplare. Pochi giorni fa il Tar del Lazio ha rigettato vari ricorsi che chiedevano lo stop alla centrale Enel di Civitavecchia. Correttamente il Tar ha chiesto un parere all’Istituto superiore di sanità, che non ha riscontrato particolari variazioni nella qualità dell’aria della zona. In questi giorni giunge la notizia della richiesta di Terna di riattivare la centrale a carbone di Genova, da tempo destinata alla chiusura, per fronteggiare la congiuntura creatasi dalle basse temperature unite a un provvisorio stop di alcune centrali nucleari francesi. Giusto. In compenso, a pochi chilometri di distanza, l’impianto a carbone di Vado Ligure, della società Tirreno Power, è da tempo chiuso su ordine della procura locale. La quale si è tranquillamente disinteressata dei pareri dati da diversi organismi pubblici (Istituto superiore di sanità, Arpa regionale e altri), ma ha ordinato una perizia a propri “esperti”, che sono arrivati del tutto unilateralmente e con tutta la discrezionalità di metodi inusuali non certificati da alcun organismo pubblico alla conclusione di una presunta nocività della centrale, là in funzione. Sempre a pochi chilometri di distanza è invece in funzione, a La Spezia, una centrale del tutto simile. E varie altre, a nord e a sud, funzionano tranquillamente. La chiusura di Vado, come sanno tutti, non ha portato alcun miglioramento alla qualità dell’aria locale. La quale evidentemente non era influenzata dal funzionamento degli impianti. Il processo per Vado, con decine di indagati, si sta intanto progressivamente sgonfiando, già prima del dibattimento vero e proprio. Nel frattempo centinaia di lavoratori hanno perso, per sempre, il posto di lavoro, aggravando la crisi economica che la Liguria sta vivendo. Senza contare i mancati ricavi della società proprietaria. L’indagine è costata anni, quattrini pubblici e privati, inutili polemiche basate sull’aria fritta più che su quella che respiriamo e una centrale è ferma e inattiva e non riaprirà mai più. In compenso sono al lavoro uno stuolo di avvocati. Ma la legge è veramente uguale per tutti? E di quali pareri dobbiamo tenere conto? Di quelli degli organismi pubblici dello stato italiano, deputati alla tutela degli interessi pubblici, o di quelli di periti sapientemente scelti dalle procure fra privati cittadini, spesso segnati da preconcetti e militanze politiche di parte?
Chicco Testa
Gli effetti collaterali della politicizzazione della magistratura non sono soltanto quelli che tutti conoscono, ovvero un accanimento da parte dei magistrati politicizzati contro coloro che reputano degli avversari politici, ma sono anche altri. Sono, per esempio, quelle inchieste della magistratura che i pm portano avanti per dimostrare la violazione di un articolo del codice morale prima ancora che la violazione di un articolo del codice penale. Purtroppo la storia del nostro paese è piena di casi in cui la magistratura ideologizzata, che confonde penale e morale, dà il meglio di sé proprio sui temi ambientali. Il caso di Vado Ligure è un caso complesso ma come spesso capita in queste circostanze i magistrati mettono in campo non solo la propria tesi processuale ma anche la propria visione del paese. E quando il secondo piano si sovrappone al primo c’è sempre qualcosa che non va.
Al direttore - Leggendo la megaintervista di Marco Travaglio a Gustavo Zagrebelsky (il Fatto quotidiano di ieri), mi sembrava di stare nel magico mondo di Mimì e Cocò. Con il primo (il giornalista) che incalzava il secondo (il professore) con domande tostissime, come: “Si spieghi meglio”; oppure: “Che intende dire?”. Una spalla perfetta per le battute del presidente emerito della Consulta. E che battute! La prima: “Ora che i sondaggi ipotizzano un ballottaggio vinto dal M5s, [l’Italicum] non va più bene e si vuole buttare via una legge mai usata: roba da perdere la faccia”. Avete capito bene: ora Zagrebelsky non vuole il proporzionale (che metterebbe nel sacco i pentastellati) e rimpiange il doppio turno col premio di maggioranza, un tempo crocevia della tirannide renziana. La seconda battuta: “La Costituzione non lo prevede. Ma un referendum informale [sull’euro] per dare un’idea di massima degli orientamenti tra i cittadini, non vedo perché non sia possibile”. Avete capito bene: Zagrebelsky propone un nuovo istituto nell’ordinamento repubblicano, ossia la consultazione casareccia, alla buona, tanto per sondare l’umore degli italiani, così come fa qualunque società demoscopica un giorno sì e l’altro pure. La terza battuta: “[contro i voltaggabana] c’è una soluzione più semplice [dell’abolizione del divieto di mandato imperativo] e costituzionale: il parlamentare è libero di cambiare partito e anche di votare come vuole… Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per passare all’opposizione, o viceversa…, subito dopo deve decadere da parlamentare: perché ha tradito i propri elettori…”. Avete capito bene: l’illustre costituzionalista ritiene legittime le dimissioni automatiche del parlamentare che ha cambiato casacca. In altre parole, suggerisce di abolire il divieto di mandato imperativo senza toccare l’articolo 67 della Carta (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”). Una magia di cui nemmeno il più grande giurista del Novecento, Hans Kelsen, sarebbe stato capace. Forse sbaglio, ma l’ansia di “parlamentarizzare” il movimento grillino che trasuda dall’intervista di Zagrebelsky mi ricorda il Benedetto Croce che voleva incanalare la protesta degli squadristi fascisti nell’alveo dello stato liberale. Per fortuna, oggi non c’è bisogno di un delitto Matteotti per capire che si tratta di una tragica illusione.
Michele Magno
Il dato più spassoso dell’intervista di Zagrebelsky – slurp! – lo ha notato ieri il professor Stefano Ceccanti. “Z. rivendica di aver contribuito a battere il combinato disposto riforma costituzionale-Italicum che avrebbe portato alla legittimazione diretta degli esecutivi, ma nel contempo critica i partiti che ora ci portano alla proporzionale e alle larghe intese. Ma questa seconda cosa è la conseguenza più probabile della sua vittoria contro il combinato disposto. Se rivendica la sua vittoria dovrebbe anche rivendicare questo esito e non criticarlo”. Il fronte del No che si scandalizza di come il No abbia aperto la strada più alla Prima Repubblica che alla Terza Repubblica è più comico di uno spettacolo di Grillo. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.
Al direttore - Dopo il concorso esterno, il traffico d’influenze, si potrebbero introdurre anche la lesione al buon gusto e la fragranza di reato (volgarmente detta, sento puzza di bruciato).
Valerio Gironi