D'Alema e la grande riforma: mancano solo 138 giorni

Al direttore - Leggendo l’intervista di Beppe Grillo, pardon: di Massimo D’Alema, ad Aldo Cazzullo (Corriere della Sera di ieri), mi sembrava di sognare. Fatta eccezione per il terremoto, i casi di meningite e l’influenza di mia nonna, per il presidente di ItalianiEuropei Matteo Renzi è il responsabile di tutte le disgrazie che affliggono il paese: bassa crescita, disoccupazione giovanile, aumento della povertà e del precariato, sperpero di risorse pubbliche a favore delle imprese, salvataggio delle banche sulle spalle dei cittadini, collusione incestuosa con i poteri forti, rottura sentimentale con gli elettori di sinistra, isolamento sociale del Pd, e tante altre nequizie ancora. Bisogna decisamente cambiare rotta, sostiene l’ex leader maximo. Come? Ma è ovvio. Anzitutto (l’assioma) liberandosi una volta per tutte del guascone di Rignano, poi (il teorema) “anziché deprecare il populismo [di Lega e M5s] cercando di delegittimare i nostri competitori politici, dovremmo cercare di metterci in sintonia con il popolo”. Insomma, se ieri la Lega c’entrava “moltissimo con la sinistra, è una nostra costola” (intervista al Manifesto, 31 ottobre 1995), oggi le costole sono addirittura due. Del resto, la Appendino non è forse “considerata il miglior sindaco d’Italia?”. E’ proprio vero, come diceva Gramsci, che la storia è maestra di vita, ma ha sempre avuto pessimi allievi. E talvolta questi allievi, nell’ansia di dimostrare che hanno studiato, non  esitano a raccontare qualche frottola. Infatti, è falso che al referendum del 1985 sulla scala mobile “il Pci da solo conquistò il 45,7 per cento di Sì”. Perché era in compagnia di Democrazia proletaria, del Msi e del Partito sardo d’azione. Affermare, inoltre, che la “sua” proposta di legge (riduzione dei parlamentari e abolizione della navetta tra Montecitorio e Palazzo Madama da fare in sei mesi) è ferma al Senato in quanto il Pd non ha ancora scelto il nuovo presidente della commissione Affari costituzionali (se non è un altro complotto di Renzi, poco ci manca), è una ridicola fandonia. Theodor W. Adorno sosteneva che “le bugie hanno le gambe lunghe: si può dire che precorrano i tempi”. Quelle di D’Alema li seguono.

Michele Magno

 

Noi siamo fiduciosi: se i conti fatti da D’Alema prima del referendum sono giusti, ovvero che in sei mesi sarebbe stato possibile fare una magnifica riforma capace di semplificare in un battibaleno il sistema istituzionale italiano, a oggi mancano 138 giorni. E non ci vorrà mica dire il leader Massimo che il bicameralismo paritario non è in grado di partorire velocemente le leggi importanti, no? Smack.

 


Al direttore - Boldrini: “Intollerabili ritardi negli aiuti”. Brava, bene, bis. Ascoltato, in contemporanea alla geremiade grillina dell’impalpabile presidente della Camera, Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile migliore del mondo, ricordare le terribili difficoltà in cui, con  inesausta e professionale dedizione, si muovono i soccorsi. Un divario stridente, assordante, assoluto.

Roberto Volpi

 


Al direttore - Dice Massimo Introvigne, commentando l’intervista del card. Caffarra al Foglio sui “dubia” su Amoris laetitia, che “Caffarra e altri chiedono un sì o un no, mentre il Papa ha affermato ripetutamente che da lui non verranno un sì o un no validi per tutti i casi ma solo l’indicazione di un metodo che consenta al confessore di accostarsi con verità ma anche con misericordia, caso per caso, alle situazioni concrete che sono ognuna diversa dall’altra”. Forse Introvigne ha ragione. Ma intanto andrebbe ricordato che in altre circostanze, come ad esempio nel caso delle linee guida dei vescovi argentini sempre su Amoris laetitia, la risposta c’è stata e pure piuttosto chiara; secondo, il punto vero qui è un altro: su questa come su altre questioni il refrain che spesso si sente nella chiesa è il seguente: il mondo è cambiato e se la gente non segue più la morale cattolica è perché i precetti evangelici vengono percepiti distanti anni luce dalla sensibilità odierna. Inutile stare a cincischiare se i tempi siano cambiati in bene o in male, ciò che conta è che per l’uomo contemporaneo l’asticella della fede è troppo alta (e non certo per colpa sua, che la prima responsabile, manco a dirlo, è proprio la chiesa). Da qui la tendenza a volerla abbassare, l’asticella, smettendola di caricare sulla vita delle persone già gravate da mille difficoltà fardelli che non possono portare. Ma siamo sicuri che sia questa la strada, col rischio che ciascuno si senta legittimato a vivere come meglio crede, senza alcuna necessità di convertirsi e cambiare vita? O non piuttosto che occorra aiutare le persone a superarla, l’asticella, rievangelizzando la società? Detto altrimenti: è il modello Aronne che si vuole seguire, mettendosi dalla parte del popolo, o non piuttosto il modello Mosè, che al contrario scelse di stare dalla parte di Dio, guidando il popolo dove e come Lui voleva?

Luca Del Pozzo

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