Il partito delle manette, la supercasta che piace agli anti casta
Al direttore - Insomma non si può governare però almeno si può votare.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Virginia Raggi intende replicare la pagliacciata di Beppe Sala. L’autosospensione. Che in casi del genere non esiste. Se uno è temporaneamente impedito perché ha l’influenza ok ma in caso di avviso di garanzia è appunto una pagliacciata. Senza offesa per i pagliacci che fanno un lavoro da persone serie… Amen.
Frank Cimini
C’è una pagliacciata più grande della pagliacciata dell’autosospensione: i professionisti del giustizialismo che diventano garantisti per difendere gli amici manettari. Più o meno come i magistrati che quando indagano sui magistrati misteriosamente tendono ad archiviare e a non condannare. Ci vorrebbe un gran pezzo di Rizzo e Stella domani sul Corriere: la super casta. Ma ho come l’impressione che il massimo che troveremo, sui giornaloni, sarà un rimprovero di questo tipo: i grillini hanno tradito i loro valori. Ma mi raccomando: nessuno dica che i loro valori (il giustizialismo) sono l’equivalente di una truffa politica. Sono l’anticamera dell’autoritarismo. Quello vero. Non l’uomo solo al comando. Ma il blogghetto solo al comando.
Al direttore - Mi aiuti a capire meglio il garantismo pentastellato, cioè chi riceve un avviso di garanzia deve andare di persona dal pm a far vedere l’sms in cui informa Grillo dell’avvenuta ricezione e dunque l’iter giudiziario finisce lì o ci deve andare Rocco Casalino?
Valerio Gironi
Al direttore - Tutti contro la globalizzazione, trema a Davos l’1 per cento più ricco, nuovo disordine mondiale, resta solo Xi Jinping a difendere il libero commercio… I titoli della stampa generalista e specializzata si assomigliano, annunciando un “nuovo mondo”, quello del sovranismo isolazionista. Peccato che non potrà essere così. Certo Trump farà il possibile per difendere “America First”. Ma è l’unico a poterlo fare: il solo paese che ha un mercato interno tale da poter provare a fare a meno degli altri. Già per la Cina le cose si mettono male: crescita scesa al 6-7 per cento, allerta sul mercato immobiliare e finanziario cinese, bolle in procinto di scoppiare. Gli investitori privati cinesi stanno investendo massicciamente in dollari Usa. Anche lo spauracchio della detenzione del debito americano è una tigre di carta: un’arma inutilizzabile. Per gli altri ancora peggio: le economie dei vari Brics o Mint sono del tutto estroverse così come lo è quella europea. Quindi? Ci sarà verosimilmente una contrazione del commercio mondiale ma non la sua fine. E i leader politici che giocano con il fuoco del populismo economico (sovranità monetaria e commerciale) resteranno delusi, non si può più fare a meno degli altri, è troppo tardi a meno di non volere la “decrescita infelice” generalizzata: una spaventosa crisi economica mondiale che farebbe male a tutti. Ecco dunque il “momento opportuno”: cogliere l’attimo non per tornare indietro ma darsi delle nuove regole. Basta un pochino di memoria storica: fin dagli anni Novanta una certa parte della società civile mondiale aveva avvisato che la globalizzazione incontrollata significava pericolo. Ricordate Seattle? Ma i turbo-liberisti non vollero ascoltare: “La marea solleverà tutte le barche” rispondevano. Ora sono loro ad aver paura perché la classe media (la loro costituency) si è arrabbiata. Temono (a giusta ragione) la guerra commerciale, la stessa che provocò guerre mondiali nel passato. Non sono i Piketty, i Corbyn, i Petrini e i Sanders che danno ora ragione a The Donald: è lui che li raggiunge… in ritardo. Certo le sue ricette sono diverse: vanno bene solo per l’America, per ora. Presto si accorgerà – speriamo e crediamo – che per lasciare un segno nella storia dovrà occuparsi di tutto il vacillante sistema. Il G20 era nato proprio per dare nuove regole a una globalizzazione già claudicante dopo la crisi del 2007-08. Ce lo avevano promesso ma non se ne fece nulla. Si è perso altro tempo davanti alla ondata montante della diseguaglianza e dei suoi mali (impoverimento, migrazioni ecc.). Il momento è giunto: nuove regole globali per regolare ciò che fino a ora ci è stato presentato come “irregolabile”. Una bugia, una fake news: è venuto il tempo di sfatarla.
Mario Giro, viceministro degli Esteri
Al direttore - Dio salvi Charlie Hebdo e Dio ci salvi dalla valanga di indignazione populista assecondata dalla politica. Se politici e amministratori locali avessero chiuso le piste da sci del martoriato centro Italia, macabramente aperte in questi giorni, invece di pensare a querelare Charlie Hebdo, oggi avremmo meno morti su cui piangere e più tempo da perdere per indignarci contro tremende vignette che, in fin dei conti, ci ricordano che le calamità naturali non le puoi fermare, quelle umane sì. Basta saper distinguerle.
Domenico Mazzone