Renzi e il caffè con D'Alema. I vitalizi e la sottomissione ai grillini
Al direttore - Qui il padre, lì il Fillon.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Un caffé con D’Alema? Lei fa riferimento a Schröder. Nel 2005 l’Spd, allora primo partito, ebbe l’uguale del Pd: scissione di Lafontaine e formazione del Linke-Pds. Il riformista Schröder mise fine all’alleanza con i Verdi e lanciò il Neue Mitte (nuovo centro). L’Spd non ipotizzò neppure un caffé con lo scissionista Lafontaine. I tedeschi danno un certo valore alla chiarezza in politica. Sarebbe stato preferibile il caffè alla grande coalizione con la Merkel? Diciamolo soft: dubito. So che la Germania della Grosse koalition ha conosciuto 10 anni di stabilità, leadership mondiale e forza economica. Dopo dieci anni di grande coalizione, l’Spd è l’unico partito socialista in Europa in piedi, autorevole, unito e consistente. E rischia pure di vincere. La Linke non ha mai contato. Sinceramente? Non l’avrei preso neanch’io quel caffè con Lafontaine.
Umberto Minopoli
La grande coalizione è stata una benedizione per la Germania e anche per l’Europa. Ma l’Italia non è la Germania e per fare una grande coalizione al prossimo giro i voti del centrodestra e del centrosinistra potrebbero non bastare e da qualche parte bisognerà pure andarli a pescare per non regalare il paese agli orrendi professionisti dell’immobilismo e del moralismo.
Al direttore - Caro Cerasa, criticare l’assegno vitalizio dei parlamentari è ormai l’ultima raffica dell’antipolitica. E non serve ricordare che questa prestazione ha cessato di esistere alla fine del 2011. Dal 2012, infatti, anche i parlamentari avranno una pensione calcolata – per intero o pro rata – con le regole del sistema contributivo: allineamento tendenziale dell’età pensionabile, requisito minimo di 5 anni effettivi, accredito annuo del montante contributivo in misura del 33 per cento dell’indennità, applicazione dei coefficienti di trasformazione in rapporto all’età di quiescenza, aggancio automatico all’attesa di vita e quant’altro incluso negli ordinamenti pensionistici degli italiani. Ovviamente sono sempre possibili ulteriori armonizzazioni. E’ cambiata anche la normativa della reversibilità, dal momento che, come stabiliscono le regole generali, le future prestazioni ai superstiti saranno proporzionate al reddito dei soggetti che le ricevono. Un’altra revisione importante riguarda i criteri di rivalutazione degli assegni erogati. In precedenza, esisteva una sorta di clausola-oro, nel senso che i vitalizi erano agganciati all’evoluzione delle indennità dei parlamentari in corso di mandato (per altro bloccata da anni). A riforma compiuta, varrà un sistema di perequazione automatica delle prestazioni legato al costo della vita come per tutti i pensionati. La riforma, dunque, è seria ed incisiva; opererà per intero per i deputati e i senatori che sono entrati o entreranno in Parlamento dopo il 1° gennaio 2012; e si applicherà, pro rata, per quanti hanno esercitato il mandato elettivo fino a tutto il 2011 (fino ad allora è operante il vitalizio). Il problema, allora, cambia pelle e pone due specifici interrogativi: se è corretto riconoscere una pensione ai parlamentari per l’attività svolta; che cosa fare dei vitalizi già erogati. Sul primo quesito: a parte ogni altra valutazione di carattere politico (o, se vogliamo, anche etico), in Italia tutte le tipologie di reddito “da lavoro’’ sono sottoposte non solo a tassazione, ma anche a prelievo contributivo; e danno pertanto luogo a una pensione, anche nel caso in cui il soggetto sia già iscritto a una propria gestione obbligatoria o sia pensionato. Non si capisce perché dovrebbe essere esclusa da tale disciplina la sola indennità dei parlamentari. Vi saranno anche delle riduzioni importanti di spesa. Nel regime dell’assegno vitalizio, Montecitorio incassava 12,5 milioni di versamenti contributivi dai deputati ed erogava circa 130 milioni per le prestazioni. In pratica vi era un rapporto tra entrate e spesa di uno a dieci. Quando la riforma andrà a regime, tale rapporto sarà di uno a tre/quattro. I principali risparmi deriveranno dall’elevazione del requisito anagrafico e dalla riduzione dell’importo delle future pensioni rispetto a quello dei vitalizi. Si stimano “tagli’’ che vanno da 500 a oltre 2 mila euro mensili lordi a seconda del numero di legislature e dell’età: in pratica i nuovi assegni pensionistici risulteranno inferiori tra un terzo e la metà dell’importo dei vitalizi. Per quanto riguarda, poi, i trattamenti in corso di erogazione potrebbero essere fissati dei contributi di solidarietà, anche di carattere strutturale. Se poi si volessero ricalcolare gli assegni vigenti con il metodo contributivo, occorrerebbe, almeno, tener conto non solo dei versamenti effettuati dal parlamentare, ma includere, nel conteggio, un ammontare pari a circa il triplo a carico delle Camere, come avviene nel caso di tutti i lavoratori (a cui viene accreditata anche la quota spettante al datore per un complessivo 33 per cento). Se, invece, si vuole usare la mannaia ai danni di tanti anziani signori che credevano di aver servito il paese e scoprono, invece, di averlo defraudato e derubato, si proceda pure. Questo non è forse il tempo degli Unni?
Giuliano Cazzola
La sottomissione ai grillini è uno dei drammi di questo paese.
Al direttore - Nonostante la prolungata assenza di un partecipato dibattito sul ruolo dello stato, rimane la necessità di dare risposte alle mutate esigenze del corpo sociale e abbandonare il ricorso a provvedimenti di politica fiscale scarsamente coordinati tra loro e soggetti a ripensamenti continui. Il caso delle imposte sugli immobili è emblematico così come resta aperta la questione della riforma della tassazione dei redditi. Manca un approccio sistemico che affronti temi più ampi che riguardano lo stare assieme come collettività nazionale ed eventualmente dentro una società pluri-nazionale. Una prova dell’inadeguatezza e della poca qualità del dibattito pubblico su questo tema è la separazione dei temi riguardanti la spesa pubblica e il sistema impositivo. Per esempio, oggi va di moda la proposta dell’imposta proporzionale, la cosiddetta flat tax, che potrebbe essere condivisibile se fosse spiegato in modo convincente come si coordina con tutto il resto del sistema dei tributi e delle spese. E il fatto che si parli già di aliquote genera anche il fondato sospetto che si tratti più di slogan che di strumenti per migliorare il mondo. Male impostata la questione da parte dei proponenti, visto che eliminano tutti i passaggi logici, anche le critiche appaiono insoddisfacenti. Si oppone, infatti, che un’imposta proporzionale andrebbe contro i princìpi costituzionali della progressività. Faccio un semplice esempio: immaginiamo di avere uno stato composto da due cittadini contribuenti. Uno ha reddito di 100 euro l’altro di 1.000. Immaginiamo anche un’imposta regressiva che prelevi 40 euro dal primo (40 per cento) e 300 dal secondo (30 per cento), per un gettito complessivo di 340 euro. Questo sistema pro ricchi, secondo l’attuale livello di dibattito, viola il principio di progressività e quindi è da rigettare. In realtà, ci si deve chiedere cosa faccia quella collettività con i 340 euro di gettito. Immaginiamo, continuando l’esempio, che 280 siano destinati a spese di funzionamento dello stato e 60 alle politiche di mitigazione delle disuguaglianze e che questi 60 vadano tutti al percettore meno abbiente. Alla fine del processo il reddito netto del povero è maggiore che all’inizio e tutte le tasse effettivamente prelevate e impiegate sono tratte dal ricco. Sembrerebbe, dunque, che il sistema sia perfettamente accettabile, anche in ottica ridistributiva, pure se dotato di un’imposta regressiva in senso stretto. Non sfuggirà che le stesse definizioni di ricco e povero sono mendaci, come anche il riferimento alla capacità contributiva e alla stessa progressività del sistema tributario hanno bisogno di aggiornamenti sostanziali. Dunque, se si prosegue in questo sterile dibattito sulle aliquote della flat tax o su quelle di qualsiasi altro singolo tributo senza un approfondimento che definisca princìpi, obiettivi e strumenti in modo coerente, stiamo semplicemente perdendo tempo.
Mariano Bella, direttore Ufficio Studi Confcommercio