In Egitto scarcerato Mubarak. In Italia siamo al Ruby quater
Al direttore - Robespierre: e no, adesso pure la Francia dei valori no.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - “C’è un ampio schieramento che non vede male il presidente dialogante, Gentiloni appunto, e già lo immagina nuovo capo del governo, anche al prossimo giro”: così martedì sul Foglio. Ma a sostenere un Gentiloni “prolungato” potrebbe anche esserci la prorogatio. A bocce ferme e con l’attuale legge elettorale, considerando davvero improbabile che una forza politica possa raggiungere la fatidica quota 40 per cento, si avrebbero Camera e Senato senza chiara maggioranza. E questo potrebbe favorire una possibilità che nell’ultimo lustro ha riguardato due solide democrazie europee: il Belgio (per 2 anni) e la Spagna (per un anno). La tesi del Foglio, quindi, potrebbe essere confermata non solo dal consenso “sotterraneo e alla luce del sole” degli schieramenti parlamentari, ma anche per semplice inerzia dello scenario politico.
Virgilio Falco
Finirà che sarà il Renziloni la coppia di governo che si candiderà a guidare l’Italia anche nei prossimi cinque anni. Al direttore - Scarcerato Mubarak. In Egitto il caso è chiuso. Qui siamo al Ruby quater.
Frank Cimini
Al direttore - Sono convinto che si debba scansare la demagogia antieuro, oggi e domani, visto che la battaglia sarà lunga e difficile. E sono ancora più convinto che l’euro, oltre ad avere portato cospicui benefici in termini di minori tassi di interesse e facilità nei movimenti di persone, cose e capitali, abbia anche offerto al nostro paese opportunità che per insipienza tutta italica non sono state sfruttate (investimenti infrastrutturali a condizioni irripetibili). Nessuna nostalgia per la nostra “liretta” e, soprattutto, il piacere di andare in Germania o Austria senza avere a che fare con marchi o scellini. Ho salutato, dunque, con entusiasmo l’introduzione della moneta unica alla stregua di un passaggio concreto per la realizzazione di un ideale più alto e immateriale, la comunità dei popoli in Europa. Però, da europeista convinto, mi pare non si faccia un buon servizio all’euro e all’Europa riproponendo concetti non veri che invece fomentano l’euroscetticismo come mi pare accada nel pezzo di Alberto Brambilla (il Foglio di ieri) citando un libro di Kerbaker. Nell’articolo si sostiene che con la nuova moneta unica i commercianti abbiano aumentato i prezzi in maniera ingiustificata, in ragione della più generale e temibile avidità umana. Due considerazioni: l’egoismo e un pizzico di avidità non guastano affatto dentro un mercato ragionevolmente regolato, e anzi ne sono indispensabile ingrediente per renderlo efficace in termini di allocazione delle risorse per la produzione di beni e servizi per la soddisfazione, al minor costo possibile, di bisogni, desideri e aspirazioni di milioni di persone. Inoltre, questa storiella dei commercianti e dei prezzi è stata sbugiardata da tanti studi e ricerche di fonti autorevolissime (Banca d’Italia, in primis) mai messe in discussione da qualcuno sul piano scientifico. A pensarci bene, una riflessione seria e informata sugli effetti del changeover è stata ed è difficile quanto lo è sostenere i benefici e il senso profondo dell’euro. Sono due battaglie contro la demagogia e non si può stare, a casaccio, ora da una parte ora dall’altra della barricata. Il mio punto è che non si può combattere la demagogia con la demagogia.
Mariano Bella, Direttore Ufficio Studi Confcommercio
Risponde Alberto Brambilla: La Banca d’Italia in un paper di discussione (n. 532) sulla divergenza tra inflazione rilevata e percepita dice che “nel periodo successivo al changeover i prodotti consumati più spesso hanno subito rincari maggiori di quelli acquistati più di rado” e che in questo la percezione ha avuto un ruolo. Ovvero se i consumatori erano predisposti a un aumento dei prezzi con l’introduzione dell’euro erano anche disposti a pagare di più per acquistarli. Il paper del 2003 (Mostacci e Sabbatini) “Changeover e arrotondamenti dei prezzi al consumo in Italia nel 2002” conclude che sull’inflazione del 2002, pari al 2,4 per cento, l’impatto del changeover abbia influito per lo 0,8, ovvero un terzo. Non pare poco. Tuttavia comprendiamo la difesa corporativa. Nell’articolo era nostra intenzione riferire del timore dei commercianti verso l’introduzione dell’euro. Felici di sapere che ora ne siete entusiasti.
Al direttore - Il totale e, per molti versi drammatico, fallimento della Seconda Repubblica ha dato luogo a una diffusa ricerca di ancoraggi politico-culturali più solidi, come quello che riporta alle idee liberali. Questo fenomeno sembra confermare la convinzione di Giovanni Malagodi, il quale amava ripetere: “Molti sono liberali e non lo sanno”. Nell’ultimo quarto di secolo invece il termine liberale è stato usato con superficialità tale da poter affermare che “in troppi si definiscono liberali e non lo sono”. Il fenomeno rischia di accentuarsi, poiché, dopo il risultato referendario tale corsa a dirsi tutti liberali è divenuta virale. Purtroppo è stata trascurata l’opinione del Partito liberale italiano, colpevole di non aver alzato la voce, ma che ha fatto di quell’insieme di valori la propria ragion d’essere. L’inflazione della parola liberale, intesa quale aggettivo, può avere molti significati, ma differisce dal sostantivo, che si richiama a un pensiero politico millenario, rappresentato, negli ultimi tre secoli, dall’Illuminismo, dall’empirismo positivista e dallo storicismo. Anche il termine “liberal”, che è divenuto comune in Italia, significa in lingua inglese “progressista”, mentre la parola liberale deriva dallo spagnolo, in contrapposizione a “servil”. Il ricco pensiero e il metodo politico, che ne sono derivati, attraverso un lungo percorso storico e filosofico, si chiama liberalismo. Ai suoi valori s’ispirò il Risorgimento italiano e i governi di tutto il primo sessantennio dello stato unitario. In seguito al disastro della Prima guerra mondiale, fu avvertita la necessità di assumere un connotato organizzativo più definito con la Costituzione nel 1921 a Bologna del Partito liberale italiano, che poi fu messo fuori legge nel 1925 dalla dittatura fascista. Nel 1943 a Bari Benedetto Croce volle rifondarlo. Dopo uno scioglimento, avvenuto nel 1994, il partito fu infine ricostituito nel luglio 1997, nella continuità storica e politica con quello del 1921 e del 1943, al fine di rappresentare un presidio, prima ancora che politico, morale storico e culturale, della grande tradizione del pensiero liberale. Oggi il Pli è uno dei soggetti politici inclusi dall’apposita commissione parlamentare tra i destinatari del finanziamento pubblico volontario, attraverso il due per mille indicato dai cittadini nelle annuali dichiarazioni dei redditi. Il contemporaneo emergere di forze qualunquiste, sovraniste e autoritarie, insieme alla caduta dell’illusione che il Partito berlusconiano possa rappresentare i valori, le idee, i sentimenti dei liberali, oggi restituiscono al Pli il ruolo che gli compete di casa legittima dei liberali senza altre aggettivazioni, collocata nell’area di centro. Molti italiani, principalmente tra i più giovani, sono di idee liberali e hanno il diritto di sapere che esiste un partito che rigorosamente ne interpreta la tradizione identitaria e, allo stesso tempo, possiede il necessario ottimismo della volontà per condividerne, oltre alle insoddisfazioni, anche le speranze. Democrazia liberale significa non soltanto il rito periodico del voto, ma ancor più il più delicato compito di informare correttamente i cittadini e chiamarli all’attiva partecipazione.
Stefano de Luca, presidente del Pli