Dove passano merci, non passano eserciti. Manifesto giustizialista firmato B. Tinti

Al direttore - Sul Fatto quotidiano di ieri compariva un articolo che doveva essere una critica dei metodi antidemocratici di Beppe Grillo a firma di Bruno Tinti. A un certo punto l’ex magistrato, editorialista e proprietario del Fatto quotidiano, riflette però sul motivo per cui, nonostante tutto, il M5s sia il primo partito in Italia: “Inutile chiedersi perché stia succedendo questa cosa: i cittadini ne hanno abbastanza dei professionisti della politica, legati ai cosiddetti poteri forti (banche, imprese, multinazionali) e quindi corrotti”. Dall’alto della sua esperienza e del suo equilibrio di magistrato, Tinti afferma con certezza che tutti i politici che hanno a che fare con “banche e multinazionali” sono “quindi” corrotti. Fa meno paura il senso della democrazia di Grillo del senso di giusitizia del magistrato col farfallino.

Marco Martini

 

Luciano Violante, durante una lectio magistralis sul diritto parlamentare tenuta ieri alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha detto che “il codice penale è diventato la Magna Charta dell’etica pubblica e si tratta di un segno di autoritarismo sul quale penso valga la pena di riflettere”. Violante ha ragione, ma la questione forse è ancora più complessa. Quando il codice morale viene mescolato con il codice penale succede che i giudizi morali vengono poi trasformati in possibili reati. E nel caso specifico, l’intervento di Tinti è significativo perché mostra uno dei tanti e orrendi volti del pensiero giustizialista: la trasformazione di una categoria invisa a un magistrato per ragioni ideologiche in un bacino di potenziali criminali. C’è da avere paura.

 

Al direttore - Il mezzo secolo di pace in Europa non è stato assicurato – come spesso si dice, un po’ superficialmente – dall’Unione europea, bensì piuttosto dalla “guerra fredda”, cioè dal reciproco timore e rispetto dei due grandi avversari, e dall’equilibrio delle loro forze. Non a caso, finita quella fredda, è subito iniziata la guerra calda, ad esempio nei Balcani.

Massimo Boffa

 

Diceva Frédéric Bastiat, grande filosofo ed economista francese di cui il Foglio nelle prossime settimane vi parlerà a lungo, che “dove non passano le merci, passano gli eserciti”, e che di conseguenza dove passano le merci gli eserciti passano un po’ meno. Riavvolga il nastro della storia e scoprirà che è la chiave giusta per capire l’Europa di oggi e quella di domani.

 

Al direttore - Augusto Minzolini può non essere simpatico a tutti, in una fase in cui la popolarità dei politici è molto bassa. Tuttavia, dal momento che “i magistrati in politica fanno male alla giustizia” – non lo ha scritto il senatore forzista, ma il direttore del Corriere della Sera, Fontana – non ci si nasconda dietro codici e regolamenti: il “caso Minzo” è politico. E la decisione sulla permanenza, o meno, di Don Augusto in Senato devono prenderla i parlamentari, che il 16 marzo lo hanno lasciato sul seggio, dove lo inviarono gli elettori liguri. Fa bene, dunque, l’ex direttore del Tg1 a battersi, in un’Aula dove i predecessori dei senatori del Pd “salvarono” Moranino, Pci, spietato assassino di 5 partigiani, durante la Resistenza, e in cambio contribuirono all’elezione di Giuseppe Saragat (Psdi) al Quirinale. Sarebbe molto preoccupante se fosse decisiva, per l’espulsione di Minzolini dal Senato, la relazione di Doris Lo Moro. Chi è costei? Una senatrice bersaniana, in passato molto vicina al “Violante 1”, leader del “partito dei giudici” e, soprattutto, una magistrata calabrese in aspettativa. Come lo è, da “solo” 30 anni, la ministra Anna Finocchiaro, ex violantiana, attuale sostenitrice del Guardasigilli, Orlando, alla segreteria del Pd, competitor di Matteo Renzi, garantista, e di un’altra toga in aspettativa, Don Michele Emiliano. Tutto normale, presidente Mattarella ed ex premier, D’Alema?

Pietro Mancini

 

Al direttore - Vorrei precisare solo un punto che mi sta a cuore, a proposito dell’articolo che ho scritto il 23 marzo sul Fatto quotidiano. Non ho mai detto che ci vorrebbe un New Deal europeo con un trasferimento di sovranità ai più piccoli e non ai più grandi, ma che l’Unione dovrebbe fondarsi su una “condivisione di sovranità”. Un caro saluto.

Barbara Spinelli

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