Emiliano e il tip tap. Un punto per evitare una legge: il poraccellum
Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 7 aprile 2017
Al direttore - Emiliano: no al tip tap.
Giuseppe De Filippi
Povero Emiliano. Un abbraccio a lui e al suo tendine d’Achille.
Al direttore - La fiction di Sky non dice che il 1993 fu l’anno nero di Mani pulite tra la moratoria delle indagini su Fiat, Mediobanca e Pci-Pds, il banchiere Pacini Battaglia che entrò e uscì come una meteora dall’inchiesta di Di Pietro. Sapevatelo.
Frank Cimini
Al direttore - Ha ragione da vendere Sabino Cassese nel sottolineare il peso che la Pubblica amministrazione ha sullo sviluppo economico del paese. Contrariamente a quanto si crede, il macigno della burocratizzazione non è legato ai funzionari pubblici o ai furbetti del cartellino che pure sono un fenomeno esecrabile quanto, invece, alla bulimia legislativa che di fatto irrigidisce ogni cosa e soffoca la libertà dell’amministrazione con obblighi inderogabili. Insomma le regole che fanno impazzire le imprese e le famiglie sono dettate dal legislatore e non create dai dirigenti pubblici e bloccano una necessaria libertà amministrativa capace di puntare all’obiettivo sostanziale e non sottostare ad un formalismo regolatorio e minuzioso. Sarà che siamo la patria dei sofismi e del formalismo se in venti anni abbiamo fatto ben 4 riforme della pubblica amministrazione (Bassanini, Nicolais, Brunetta e ora Madia) e il cuore del problema sottolineato da Cassese non è stato per nulla risolto con l’aggravante che oggi ogni funzionario pubblico ha il terrore di mettere una firma per la paura dei pm e della Corte dei conti. E tutto ristagna tranne, naturalmente, i fatti illeciti. Detto questo, però, non riusciamo a comprendere perché mai un sistema elettorale proporzionale debba gettare il paese nel caos. Le democrazie parlamentari tedesche, austriache, spagnole, olandesi e ancora molte altre in Europa sono governate da coalizioni. E tanto per spiegarci con una simulazione se mai la legge elettorale tornasse al proporzionale con la soglia del 3 per cento noi avremmo in Parlamento 7/8 partiti (Pd, M5s, Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Mdp e uno o due partiti centristi). Certo, potremo avere un tripartito o un asse Pd-M5s e non avremo il governo di un solo partito, ma questo non c’è in nessuna delle grandi democrazie parlamentari europee se si eccettua la Gran Bretagna che pure la scorsa legislatura fu costretta ad avere al governo una coalizione tra conservatori e liberal. Ciò che manca alla politica di oggi è la cultura istituzionale e costituzionale per cui continuiamo a sentir parlare di grande coalizione quando questa non esiste più in Europa. La grande coalizione esisteva in Germania quando alla sinistra del Spd non c’era niente mentre oggi c’è la Linke fondata da Oscar Lafontaine o quando in Italia c’era la solidarietà nazionale con Dc e Pci che insieme raggiungevano il 70 per cento dei consensi con l’85 per cento dei votanti. Oggi Pd e Forza Italia a stento raggiungerebbero il 40 per cento. Come se non bastasse è utile ricordare che nelle democrazie europee le coalizioni di governo sono fatte da democristiani e socialisti mentre in Italia non c’è nessun partito di stampo europeo che si richiami a quelle culture o ad altre. E’ questo il vero punto di crisi dell’Italia di oggi che non può mai essere risolto con le tecnicalità elettorali ma solo riformando e rilanciando i partiti che a oggi, in larga parte, sono poco più che comitati elettorali. La riprova l’abbiamo in sede locale dove ogni sindaco e ogni presidente di giunta regionale sembrano essere un partito a sé nel bene e nel male e dove la classe dirigente è reclutata non dagli elettori ma dai segretari nazionali visto che da venti anni non ci sono più le preferenze. E i risultati li abbiamo sotto gli occhi di tutti. D’altro canto il risorgere del trasformismo parlamentare (in tre anni oltre 200 parlamentari hanno cambiato casacca) non è il sintomo più chiaro del maggioritario e della crisi profonda dei partiti lasciati senza più una cultura di riferimento come dimostrano gli stessi loro nomi e privati di ogni forma di democrazia e di organi collegiali mentre crescono le forma plebiscitarie? Agli amici che sostengono il maggioritario vorremmo sussurrare con umiltà che quel sistema funziona in società già di per sé bipartitiche come gli Stati Uniti e in parte la Gran Bretagna ma quando le opzioni politiche sono molteplici il maggioritario è devastante e forma governi che sono maggioranza nel Parlamento ma minoranza nel paese. Capiremmo se alla democrazia parlamentare si opponesse una democrazia presidenziale con i pesi e contrappesi come negli Usa ma una terza via non esiste come ha ampiamente dimostrato l’Italia in 25 anni lasciando macerie istituzionali, sociali ed economiche con una rottura “sentimentale” grave e profonda tra politica e paese. Perseverare sarebbe davvero diabolico.
Paolo Cirino Pomicino
La differenza tra l’Italia e le altre democrazie europee è questa: quando in Italia c’è aria di maggioritario, i partiti si aggregano, crescono e spesso migliorano; quando in Italia c’è aria di proporzionale, i partiti si frammentano, si dividono, si spappolano e si dedicano più a rappresentare il paese che a governare il paese. Una via di mezzo però c’è: soglia di sbarramento all’otto per cento, come è oggi al Senato, e chi ce la fa ce la fa. Un proporzionale così ha senso. Un proporzionale con soglie più basse andrebbe corretto con una formula diversa: il poraccellum. La accendiamo?