Una maggioranza delegittimata non può più governare. Lezioni da Theresa May

Al direttore - Se poi trovano pure il vaccino per l’Hiv, Report li aspetta fuori.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Condivido quasi tutta l’intervista di Calenda. E’ vero: i grillini si battono con un’agenda più europea e con la ripresa, e non con l’annacquamento (leggi liberalizzazioni) del programma riformista del triennio renziano. Ma se è così trovo allarmante un inciso, ahimè non secondario, dell’intervista al ministro Calenda: quello in cui egli oppone una “politica dell’offerta” (competività, innovazione, Industria 4.0) alla “politica della domanda… attraverso tagli fiscali generalizzati che non possiamo permetterci”. Intanto il taglio fiscale degli 80 euro non fu affatto generalizzato. Ma la riduzione del carico fiscale, a mio avviso, è il cuore delle “promesse” riformiste di Renzi. Che si possono “graduare” ma non cancellare come politiche, troppo permissive, della “domanda” opponendole alle “politiche dell’offerta”. Le politiche di supply side (dell’offerta e degli investimenti), ad esempio quelle che hanno permesso la straordinaria crescita Usa degli anni 80, si fondano sulla riduzione contestuale (anche piuttosto generalizzata) della pressione e del carico fiscale sui redditi, premiandone l’utilizzo come investimento. Del resto, ministro Calenda, con quali risorse si alimenterebbe una politica dell’offerta in Italia restando fermi l’attuale perimetro della spesa pubblica e della tassazione? Non c’è alternativa a una politica di “riforme” intesa come aggressione, ai fini di creare spazi a una politica dell’offerta, al livello della spesa pubblica, del servizio del debito e dell'alta tassazione come le tre ragioni della decrescita italiana. A cui aggiungerei una innovazione delle relazioni industriali “partecipativa” e non conflittuale che premi la domanda (crescita salariale) attraverso la contrattazione della produttività. Ben venga una ventata di liberalismo attivo e modernizzatore come quello della supply side economics (politica dell’offerta) invocata da Calenda. Ma non vanifichiamola, caro ministro, con la “correzione italiana” (e di sinistra ideologica) secondo cui potremmo avere politica dell’offerta, più investimenti e più innovazione con un regime di alta tassazione e senza “tagli fiscali” (generalizzati e non). Più offerta = meno tasse. E’ il contrario che non ci possiamo permettere, caro ministro.

Umberto Minopoli

 


 

Al direttore - Le élite nostrane non hanno una base culturale che le caratterizzi per chiaro convinto, orientamento politico. Quelle, diciamo, intellettuali provengono da una cultura fondamentalmente antiliberale, quelle economiche idem, quelle politiche, anche. Dal 1876. Questo ha prodotto un insieme di entità denaro pubblico dipendenti. La contesa politica s’è sempre sviluppata sul disputarsi il controllo e la gestione delle finanze pubbliche. I sindacati, tutti impostati ideologicamente e la propensione italica all’assistenzialismo di stato, hanno fatto il resto. Il grillismo rientra, concettualmente in quell’alveo, come il No referendario. Cinicamente: la botte restituisce il vino che c’è stato messo dentro. Il consenso per il Berlusconi del ’94: “Cambiare lo stato in senso liberale” fu dovuto, alle rivincite di parte e al fatto che i suoi elettori non avevano capito cosa significasse, anche per loro, il cambiamento in senso liberale. Siamo ancora lì. Grillo è un epifenomeno. Auguri.

Moreno Lupi

 

L’unica rivoluzione possibile, in Italia, è una grande rivoluzione liberale. Ed essendo l’unica rivoluzione possibile è anche l’unica vera rivoluzione temuta, e i grillini infatti, dalle cose serie, se ne stanno sempre alla larga.

 


 

Al direttore - Accogliendo il Vostro invito, da lettore “di lungo corso”, non posso non inviarVi la mia “priorità per l’Italia”. Una vera e sistematica riforma del nostro paese non può prescindere da una particolare attenzione verso i giovani, futuro della società e dell’Italia. Una delle priorità inderogabili della nostra Italia è una vera e concreta riforma del sistema scolastico. Negli ultimi anni abbiamo assistito a tiepide, e talvolta inutili, “simil riforme” della scuola. Passando attraverso la “maturità a punti” e la Buona Scuola, i nostri ragazzi tentano di entrare nel mondo del lavoro disorientati e impauriti. Terminato il ciclo scolastico i giovani cercano lavoro, senza minimamente considerare una seconda opzione: “…se non trovo lavoro, provo a creare un lavoro”. Ma non è colpa dei nostri ragazzi. Il sistema scolastico italiano è ormai arcaico, orientato a una preparazione meramente teorica e dottrinale. Gli insegnanti delle Scuole di ogni ordine e grado aggiornano la loro preparazione professionale autonomamente, e solo se dotati di un forte senso di responsabilità; la Buona Scuola ha fortemente inciso sulla motivazione di molti giovani insegnanti che, dopo anni di attesa di una titolarità di cattedra hanno guadagnato soltanto una “pendolarità” di cattedra, dovendo attraversare l’Italia dal nord al sud, e viceversa, settimanalmente, per poter svolgere il proprio prezioso servizio di insegnante. (Suggerisco di ascoltare le conversazioni di tanti insegnanti che si ritrovano le domenica sera sui voli “low cost” diretti al nord d’Italia e comprenderete lo stato d’animo di queste persone). In Italia manca un sistema scolastico in grado di far sviluppare il talento di ciascun giovane. I programmi, tranne rare eccezioni, contemplano una formazione meramente teorica; gli insegnati, tranne rare eccezioni, si preoccupano solo di “seguire i programmi”, senza “seguire gli studenti”. Manca una scuola in grado di “preparare alla società”, manca una scuola in cui si parli di politica intesa come “alto servizio” alla Società, manca una scuola che insegni l’imprenditorialità e soprattutto l’autoimprenditorialità, manca una scuola che insegni il “ruolo delle istituzioni” per trasmettere il “senso delle istituzioni”, manca una scuola in cui gli studenti possano formulare proposte e progetti per l’Italia da sottoporre alle autorità competenti, manca una scuola in cui gli studenti vengono interpellati dalle istituzioni per meglio orientare le politiche sociali, manca una scuola in grado di far comprendere a ogni ragazzo che egli è un cittadino di questa nostra Italia, manca una scuola che fornisca agli studenti gli strumenti, la competenza e l’ottimismo per non lasciarsi ingannare dai “profeti di sventura” ormai presenti ovunque. Manca, infine, una scuola collegata con il “mondo del lavoro” attraverso una reale sinergia con imprese, private e pubbliche, e istituzioni. E’ ora di una grande e seria riforma della scuola, ripartendo anche dall’esperienza delle scuole di avviamento professionale” degli anni 50 e 60, anni della ricostruzione post bellica, anni in cui sono state messe le basi per il “boom economico” degli anni 80. Ovviamente le condizioni socio economiche di oggi sono diverse, ma proporre una scuola di avviamento professionale 2.0, anche supportata dalle imprese, potrebbe essere lo stimolo per una giovane e innovativa autoimprenditorialità. E’ necessaria una grande riforma di tutto il sistema scolastico in grado creare una sinergia operativa tra scuola e istituzioni, tra studenti e amministratori della cosa pubblica, una grande riforma che consentirà di stimolare tra i giovani anche il desiderio di un impegno politico serio, competente, lontano dalla demagogia e dal populismo. A chi, leggendo queste mie brevi e forse superficiali considerazioni, obietterà che per una grande riforma della scuola “servono i necessari fondi”, rispondo: i soldi si possono trovare coinvolgendo le imprese private nell’ambito di una politica liberale, serve, invece, tanto buon senso, purtroppo non sempre facile da trovare tra gli addetti ai lavori…tuttavia, sono e resto assolutamente ottimista! W la scuola 2.0.

Andrea Zapparoli

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, secondo lei è una mossa che indica forza o debolezza quella fatta da Theresa May, che ha scelto di anticipare al prossimo 8 giugno le elezioni inglesi?

Marco Martini

 

Theresa May ha capito quello che in molti faticano a capire in Italia: quando l’esito di un referendum cambia la storia di un paese, tu non puoi far finta di nulla per troppo tempo e a un certo punto devi renderti conto che una maggioranza delegittimata dal tuo popolo è una maggioranza che non può combinare granché e per questo è un dovere ridare la parola agli elettori. E’ la scelta giusta per la Gran Bretagna, sarebbe stata la scelta giusta anche per l’Italia.

Di più su questi argomenti: