Dubbi sul rapporto tra Renzi e l'Europa. Mafia Capitale chi?
Al direttore - “Europa sì, ma non così”, questo è lo slogan scelto da Matteo Renzi nella campagna congressuale per la segreteria del Partito democratico, chiusa ieri a Bruxelles. Cambiare l’Europa costituisce il cuore del suo programma elettorale e i motivi per farlo possono essere riassunti in quattro parole: austerità, burocrazia, regole e egoismo. Una simile descrizione ha l’indubbio vantaggio della semplicità, ma rischia di non corrispondere alla realtà dei fatti.
Andiamo con ordine. Primo, l’austerità. Negli anni del suo governo, la politica fiscale è stata espansiva, l’austerità non c’è stata, e quando c’è stata ha colpito unicamente gli investimenti pubblici, ossia il comparto di spesa maggiormente produttivo: i recenti dati Istat lo dimostrano (tra il 2014 e il 2016, le spese in conto capitale sono diminuite di quasi tre miliardi di euro mentre quelle correnti sono aumentate di 6,6 miliardi di euro). Peraltro, l’Italia è il paese a cui è stata accordata maggiore “flessibilità di bilancio” (19 miliardi di euro), una scelta coerente con l’impostazione molto politica che il presidente della Commissione, Jean-Claude Junker, ha voluto dare al suo mandato. Del resto, un esecutivo comunitario così “politico” come quello attuale non c’è mai stato. E, non solo perché Juncker è il primo presidente a essere eletto direttamente, ma anche perché la squadra dei commissari è composta prevalentemente da politici di “professione”, tra cui cinque ex premier, due ex vice premier, una decina di ex ministri (come Federica Mogherini, candidata dall’Italia) e diversi eurodeputati. E qui veniamo al secondo punto, la burocrazia e la sua influenza nelle istituzioni europee. Del ruolo della Commissione si è appena detto, delle altre è difficile non riconoscerne il peso politico, a cominciare dal Parlamento di Bruxelles che è espressione del voto dei cittadini; peraltro, il partito democratico – grazie al 40,8 per cento ottenuto nel 2014 – è la forza più numerosa della famiglia socialista europea. C’è poi il Consiglio europeo – che delinea la politica economica dell’Europa – in cui siedono i capi di stato e di governo e, quindi, anche Renzi quando era alla guida del paese. E, infine, c’è il Consiglio dell’Unione europea dove i ministri dei governi nazionali – che solitamente sono politici – legiferano su questioni specifiche alla loro materia: l’Ecofin, per esempio, riunisce i responsabili dei dicasteri economici. A guardar bene, l’unico esecutivo rappresentato a Bruxelles da tecnici non eletti è proprio il nostro, con i ministri Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda. In definitiva, l’accusa di una “euro-burocrazia” che decide al posto degli stati membri non sembra molto robusta. Come non lo è quella delle regole fiscali imposte dagli altri, in particolare dalla Germania. Tali regole sono state discusse e sottoscritte anche dall’Italia, a cominciare da quelle contenute nel Fiscal compact: non averle votate nel 2012 (semplicemente perché non eletto), come ha ricordato Renzi al ministro Orlando (reo di aver espresso il suo “sì” convinto, come ha fatto tutto il Pd) è un argomento a cui, chi si candida a rappresentare le nostre istituzioni non dovrebbe ricorrere. Infine, l’Europa va riformata, secondo l’ex premier, perché è egoista e infatti, ci impedisce di ricostruire le case distrutte dal sisma. Questa tesi è falsa e chi la sostiene non ha letto i trattati oppure, se lo ha fatto, non ha capito che queste spese sono escluse dal calcolo del disavanzo.
Ma allora, se dell’austerità non c’è traccia, Bruxelles non è in mano alla burocrazia, le regole (dal Fiscal compact al bail-in) le abbiamo volute anche noi e l’Europa è molto più solidale di quanto si voglia far pensare, resta da chiedersi quali siano i cambiamenti che Renzi intende proporre in sede europea. Per ora si è limitato a promettere che, in caso di vittoria, metterà il veto all’introduzione nei Trattati del Fiscal compact. Una simile scelta rischia, però, di rivelarsi miope. Le modifiche ai Trattati richiedono l’unanimità, e, pertanto, l’opposizione di un solo paese può bloccare l’intero iter decisionale: le regole fiscali resterebbero, quindi, così come sono, l’esatto opposto di quello a cui mira l’ex premier.
Per contare in Europa, per cambiarla davvero e far fronte alle nuove sfide del terrorismo, dell’immigrazione e della sicurezza, serve ascolto, competenza, una squadra coesa nel rispetto delle istituzioni (mandare Carlo Calenda nel ruolo di ambasciatore a Bruxelles solo per pochi mesi non è stata una scelta felice), e soprattutto una visione lunga. Mettere veti e battere i pugni sul tavolo, invece, non serve. Del resto, visti i risultati, se qualcuno ha battuto i pugni in questi anni, forse non lo ha fatto abbastanza, ma allora la colpa è solo sua – oppure nessuno se ne è accorto, e allora il problema è del paese.
Veronica De Romanis
Al direttore - Chiesti 28 anni di carcere per Massimo Carminati. Eppure la legge parla chiaro, per apologia di fascismo si varia dai 18 mesi ai 4 anni.
Jori Diego Cherubini
Mafia Capitale somiglia sempre di più a una grande inchiesta sulla corruzione e sempre di meno a una grande inchiesta sulla mafia, e chiunque abbia un minimo la testa sulle spalle e non sia teleguidato da una procura non può non ammetterlo. Per quanto ci riguarda ci stiamo attrezzando per offrirvi a breve un grande processo al processo di Mafia Capitale.