Il Tar è il rifugio di ogni perdente. Bisognava usare anche qui il proporzionale?
Al direttore - Per i musei bisognava usare il proporzionale?
Giuseppe De Filippi
Dice un vecchio saggio che la burocrazia è l’arte di rendere impossibile il possibile.
Al direttore - Allora facciamo così, aboliamo Parlamento, governo, ministeri e affidiamo tutto al Tar del Lazio che tanto già governa di suo sancendo l’immobilismo più assoluto e il divieto di qualsiasi riforma. Anche quelle che hanno dimostrato di funzionare, come la riforma dei musei italiani voluta dal ministro Franceschini con tanto di apertura internazionale dei concorsi per direttore. Su venti direzioni messe a bando sette stranieri vincono il concorso e iniziano a lavorare come Dio comanda, gli altri tredici sono italiani a riprova che anche da noi ci sono dirigenti culturali validi, valga per tutti come esempio il nuovo direttore della Reggia di Caserta – ovviamente immediatamente contrastato dai sindacati perché “lavora troppo”, dicono – che l’ha rivitalizzata e rilanciata con successo. Ma due candidati autarchici che non hanno vinto, e che evidentemente non conoscono il significato della parola competitività né mai da giovani hanno cantato “Bisogna saper perdere”, cercano il cavillo e fanno ricorso. A chi? Al Tar del Lazio, ovvio, rifugio di ogni perdente di pubblico concorso a cui dà immancabilmente soddisfazione. Quindi, sanciscono gli italianissimi giudici, nell’Italia dell’Unione europea, dove vige la libera circolazione delle merci e delle persone, ma evidentemente non delle idee, un tedesco, un austriaco, un inglese e un francese (sembra di essere in una barzelletta) non possono dirigere un museo italiano, anche se hanno dimostrato di saperlo fare benissimo. Da milanese cito solo il caso di Brera dopo la cura Bradburne. Passiamo il tempo a lamentarci della fuga dei cervelli all’estero e quando l’Italia diventa finalmente attrattiva di cervelli che scelgono di venire a lavorare da noi li cacciamo? Continuiamo così – diceva Nanni Moretti – continuiamo a farci del male. Oppure c’è un’alternativa, apriamo a magistrati stranieri anche i concorsi per i tribunali amministrativi italiani, almeno quello del Lazio.
Maurizio Lupi
Al Direttore - Se può, suggerisca a Calenda, di non esporsi più che tanto. Tutta l’intellighenzia nostrana, imbalsamata “vizio vecchio per antico pelo” e gli interessi frammentati, per la difesa dei loro status, aborrono i rampanti “Mica si metteranno in testa – cogitano – di cambiare qualcosa?”. L’opinione pubblica la portano dove vogliono loro. Si validus Calenda est: lento pede.
Moreno Lupi
Al direttore - A parte che anche l’Italicum, come la riforma costituzionale, nacque dalla collaborazione col centrodestra e dal famoso patto del Nazareno, M5s e grillini hanno sempre puntato il dito contro questa evidenza, non vedo dove sia l’arroganza: cosa impedisce oggi e da mesi al Parlamento di approvare una legge elettorale, se non il disaccordo e la debolezza dei partiti, la mancanza di progetto, la volontà tattica di non muoversi sostanzialmente dal proporzionale imposto dalla Consulta?
Fabrizio Guarniera
Al direttore - Su Trump e il Papa s’è letto di tutto. Incontro pessimo, incontro ottimo, incontro neutro. Punto di partenza, punto d’arrivo per due spiriti inconciliabili. Forse, come spesso accade nelle cose di questo mondo, sarebbe utile usare calma e saggezza, pensando ai processi e ai percorsi che vengono innestati e sapendo che i risultati, positivi o negativi, sono destinati a vedersi in un futuro chissà quanto prossimo. Keep calm.
Ottavio Lambruschini