Una sentenza della Cassazione complica i piani di mafia capitale?
Al direttore - Ri-fondazioni socialiste, diciamo.
Giuseppe De Filippi
Almeno in Europa, capotavola non è più dove si siede Max. E in Italia intanto si ride che è una meraviglia, con la sinistra che sta nascendo a sinistra del Pd che nasce più divisa del Pd e che ora si ritrova con lo stesso problema avuto per una vita dal Pd: Massimo D’Alema. Un capolavoro, diciamo.
Al direttore - Il bellissimo articolo di Giuseppe Bedeschi sul Foglio del 17 giugno mi induce a trasmetterle un giudizio su cui convenimmo, qualche tempo fa, un mio amico e io: ossia, che noi leggevamo il Foglio con lo stesso stato d’animo, con il quale da giovani leggevamo il Mondo. Ne il Mondo l’idea liberale era assolutamente evolutiva e promuoveva l’apertura a sinistra, ma non accettava lo schema classistico del marxismo, per il quale solo la rivoluzione proletaria avrebbe portato alla liberazione dell’uomo: in altri termini non implicava alcuna filosofia della storia, ma solo programmi contingenti e pratici, ispirati a tradizioni liberali che la storia aveva già verificato. Così fa il Suo giornale, in un contesto diverso da quello degli anni 50 e 60, insistendo sui valori del liberalismo che definiscono la costante migliore della civiltà occidentale contro il parassitismo burocratico statalistico, la violenza islamica simile in tutto a quella nazifascista, e ogni possibile fatalismo o filosofia della storia. Questo è il segno di affetto che persone anziane, ma buoni testimoni del passato, desiderano comunicare al Suo giornale.
Francesco Molinari
Al direttore - Come può Renzi pensare a una coalizione con coloro che lo hanno ostacolato per tutta la legislatura in corso, che gli hanno votato contro al referendum del 4 dicembre? Come potrebbe, nella prossima, pur vincendo, attuare le riforme che il paese attende in partecipazione con chi vuole ripristinare l’articolo 18 ed è pesantemente critico nei confronti del Jobs act? Non si lasci ammaliare dalle lusinghe dei paraninfi nostalgici Prodi e Pisapia. Vada dritto per la strada dell'europeismo, delle liberalizzazioni, della produttività e contrasti duramente le assurde proposte di chi antepone al lavoro l’assistenzialismo.
Lorenzo Lodigiani
Al direttore - Qualche giorno fa una sentenza della Cassazione di cui nessuno ha parlato in modo approfondito ha tracciato dei paletti molto interessanti ai fini della qualificazione come “mafiosa” di una associazione a delinquere. Paletti che, caro Cerasa, potrebbero certamente tornare utili anche ai giudici romani impegnati nell’elefantiaco processo denominato da qualcuno “Mafia Capitale”. La sentenza è la numero 27094 del 30 maggio scorso. In questa circostanza la Cassazione, occupandosi di un sistema campano, scrive che “un consesso criminale non può essere qualificato ‘mafioso’ sol perché ne riproduca le ‘modalità operative’”. Occorre invece sempre e comunque la dimostrazione del “radicamento del gruppo criminale sul territorio”, l’“effettiva ed attuale capacità di intimidazione” e una “solida” ed “efficiente organizzazione”. I giudici, se legge la sentenza è molto chiaro, hanno revocato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, precedentemente confermata dal tribunale di Napoli, nei confronti di un imputato di 25 anni facente parte dell’associazione a delinquere “dei figli di carcerati …” guidata da Domenico Perna e resasi “autonoma” dagli storici clan Gionta e Cavalieri di Torre Annunziata. Quello che forse più può essere interessante però è che a giudizio della Cassazione “la motivazione sulla esistenza dell'associazione” non può “basarsi esclusivamente sulla commissione dei reati estorsivi e sul fatto che vi sia un conflitto con altre consorterie criminali”. Perché “ciò che caratterizza l’associazione di stampo mafioso è l’avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo, cui consegue la condizione di assoggettamento ed omertà, in vista del programma finale dal contenuto eterogeneo, la cui realizzazione è possibile in forza di una presenza organizzativa di persone e di mezzi”. Che a questo punto non è chiaro se possa essere integrata anche dai servizi di una pompa di benzina, per quanto dotata di autolavaggio.
Luca Martoni
Letta la sentenza, molto interessante. E’ una sentenza che credo potrebbe rendere ancora più difficile il tentativo di dimostrare che quella di Roma è davvero mafia. Ed è una sentenza che mi ricorda le parole utilizzate dalla Corte di Appello di Roma per smontare l’ipotesi della presenza della mafia a Ostia. Esattamente un anno fa, la Corte di Appello disse che a Ostia (a) non è provato “il diffuso clima d’intimidazione proprio del metodo mafioso”, (b) le dichiarazioni del principale pentito del processo sono fragili e “non possono ritenersi riscontrate nel presente procedimento” e (c) certamente vi sono stati, a Ostia, “singoli atti intimidatori, posti in essere nei confronti di singoli soggetti” ma restano dei singoli atti – usura, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto di armi, acquisizione di attività economiche in modo occulto – che insieme dicono una cosa chiara: “L’atteggiamento tenuto dai testi escussi nel corso del dibattimento di primo grado non può essere ricondotto in modo univoco a strategie intimidatorie o comunque a uno stato diffuso di soggezione”. Chissà.
Al direttore - Il venerdì nero dei trasporti riporta a galla la questione della tutela dei diritti dei lavoratori e anche di quelli dei cittadini. Sui diritti, in generale ma soprattutto in campo sindacale, di solito la discussione deraglia in faccende più complesse che quasi mai coincidono con l’oggetto del contendere. Dunque meglio lasciar perdere princìpi e valori e per le stesse ragioni, è altrettanto rischioso invocare il legislatore. Allora azzardiamo almeno in campo pubblico – nel privato sono e resto convinto che la faccenda è appunto privata, dunque regolata dalla libera contrattazione tra le parti –, dicevo, azzardiamo qualche proposta semplice (per cui velleitaria). Anzitutto, senza toccare il principio di libera associazione, le stesse, per costituirsi come rappresentanze d’interessi, devono presentare uno statuto-regolamento con tutti i crismi di libertà e democrazia previsti dalle norme vigenti. Tale statuto-regolamento deve avere l’imprimatur del ministero della Giustizia, come già avviene per le associazioni professionali e di categoria (attraverso il Cnel. Toh, chi si rivede!). In allegato ci deve essere anche il bilancio – certificato da terzi – di ogni singola organizzazione e non quello confederale o federale che sia, ma di chi rappresenta direttamente i lavoratori. A questo punto entrano in ballo Aran e commissione di Garanzia per gli scioperi. Aran per certificare sia il tasso di sindacalizzazione – non semplicemente il numero degli iscritti –, sia il numero dei distacchi sindacali relativi – ovviamente a totale carico della sigla che accede al diritto. La commissione deve imporre (ripeto, imporre) il tentativo di mediazione tra le parti e poi indire il referendum vincolante tra tutti i lavoratori (ripeto, vincolante e tra tutti i lavoratori). Solo allora, nel caso prevalga l’adesione alla protesta, si può proclamare lo sciopero (che in ogni caso, nei trasporti in particolare, non può essere solo di mansione). Facile, no?!...poi sempre al Tar piacendo!
Valerio Gironi