I garantisti del caso Woodcock
Al direttore - Woodcock: “Piena fiducia nella magistratura”. Aggiungiamo anche telefonia e libera stampa.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Ieri il giornalista del Fatto quotidiano Marco Lillo, prima di saltare in moto per scapicollarsi non invitato in procura a “chiedere di essere sentito”, ha scritto che: 1) per colpa di una sua telefonata imprudente “Henry John Woodcock e Federica Sciarelli saranno sbattuti sulle prime pagine di tutti i giornali”; 2) che il telefonino di lei è stato sequestrato e quindi “ora tutti i contatti, le chat i messaggi, la rubrica di Federica Sciarelli, giornalista che si è occupata di scandali, segreti e inchieste, dalla Banda della Magliana al sequestro di Emanuela Orlandi potranno essere scandagliati dai magistrati. Non è giusto”, tanto più, nota Lillo, che Sciarelli è un personaggio pubblico (e peggio per i personaggi non pubblici…); 3) che il giornalista del Corriere Michele Bianconi, il primo a battere la notizia, non si è fermato a chiedergli la sua versione dei fatti, anche se Lillo non è coinvolto – per ora – nell’inchiesta. Non le pare encomiabile questa denuncia secca e senza paura delle storture del sistema mediatico-giudiziario?
Marco Dobboni
Al direttore - O il Pd percorre speditamente nuove vie o coltiva il vecchio centrosinistra. Tertium non datur. Il limbo non paga. Prendere schiaffi da tutte le parti, anche basta. Inutile sottolineare che io sono per metterci in marcia verso sfide non convenzionali, spediti e decisi, senza perdere un istante. Altrimenti, ci saremmo potuti tenere Bersani segretario. E con lui tutti quelli che vogliono spiegarci la politica di oggi, e lo stato di salute del Pd con la geometria. Da un po’ di tempo i geometrici con i righelli sono diventati più degli allenatori in panchina. Si tratta di numerosi esponenti politici che, rifacendosi alla scienza matematica, mettono al centro la “P”, che non è purtroppo la Politica – i geometrici se ne guarderebbero bene a misurarla – bensì il Perimetro. Calcolare il perimetro della coalizione vincente per il Pd, utilizzando formule più o meno discutibili, sembra essere diventato lo sport del lunedì. A dire il vero, lo stesso problema sta appassionando anche l’altro lato del campo e non solo il variegato campo, small, large, medium o extra-large size, del centrosinistra. Campo, mi pare la parola giusta visto che il perimetro, in oculistica, è utilizzato per determinare l’ampiezza del campo visivo. Perché oltre all’errore di leggere la politica con la geometria ce n’è un altro ancora più grave: questa categoria di politici geometrici, o poligeometrici, che si esercita a misurare i perimetri, ha qualche problema alla vista e spera di risolverlo pensando di poter guardare al futuro con le vecchie lenti del passato. Guardano all’oggi con gli occhiali di ieri. E infatti vedono ancora Ulivi, Unioni, Case della libertà e reperti archeologici di dubbia utilità. Troppo presi dai “calcoli”, dimenticano i “contenuti”. Non si accorgono che il mondo è cambiato, che la complessità va affrontata con nuovi occhi. Ieri ho partecipato alla proclamazione dei nuovi dottori di ricerca dell’ateneo palermitano. Tante ragazze e ragazzi con un bagaglio di sogni da realizzare. A fotografarli i genitori, i nonni. Felici ma preoccupati per il loro futuro. Quel bagaglio di sogni, temono, diventi il bagaglio che figli e nipoti prepareranno per andare via. Perché la generazione dell’altro ieri sapeva che i loro nipoti avrebbero vissuto meglio di loro. Oggi questa certezza le mamme e i papà l’hanno persa. Come non dargli ragione, ho pensato, quando, strano scherzo del destino, qualche ora dopo, passando davanti a una scuola superiore, in un foglietto di carta appiccicato al cancello c’era scritto “Dottore di ricerca impartisce lezioni di matematica”. Di questo oggi dobbiamo discutere, ma credo che se prevarranno i geometrici con i righelli, non per il Partito democratico ma per l’Italia, sarà un problema. Non ritengo sia un bene per il nostro paese guardare al futuro con le lenti deformate del passato. Se c’è una cosa che gli italiani hanno premiato in questi ultimi anni, anche elettoralmente, ed è da qui che abbiamo il dovere di ripartire per ritornare al futuro, è stato il coraggio di Matteo Renzi di andare oltre i perimetri stabiliti dai teorici dell’ideologia applicata alla geometria, oltre i colori politici. Un coraggio che ha portato il Pd alle europee a numeri mai visti primi, e prima dei numeri a milioni di facce e storie che si sono messe in marcia insieme perché hanno capito che la strada indicata a partire dalle “Leopolde” era quella giusta. Era quella che guardava ai loro sogni e ai bisogni e non al calcolo, alla geometria. Siamo andati oltre i perimetri, perché il nostro perimetro è stato ed è il futuro dell’Italia. Dobbiamo riprendere decisi quella strada. Abbiamo sfidato conservatorismi, recinti ideologici, miopie e abbiamo dato al Pd una missione concreta, perché di concretezza i cittadini hanno bisogno. Di una politica che smetta di parlare per iniziare a fare. Perché questo è l’unico modo per cambiare. Oggi più che mai c’è bisogno che tutto ciò ritrovi nuova linfa, c’è bisogno di un nuovo riformismo che può farsi strada solo con una rottura dei perimetri ideologici e una apertura alla società. E questo processo, inedito, nuovo, che non deve spaventare, lo può innescare solo il Pd di Matteo Renzi. Ci vuole un Manifesto per un nuovo progetto riformista che metta insieme le forze dell’innovazione su idee concrete e valori condivisi, che disegni il futuro dell’Italia. E’ il momento di osare e il coraggio non ci manca. Quel coraggio di metterci la faccia anche quando la matematica ti dà torto. E’ successo a noi, in queste settimane, a Trapani, al fianco di tante donne e uomini del Pd che hanno lottato affinché la città non venisse avvolta dal buio, affinché il futuro non si fermasse. L’abbiamo fatto contro il cinismo dei numeri, dei calcoli politici, della matematica che non tiene conto delle persone. Questa è la “P” che mi piace, la Politica, non il Perimetro, il civismo e non il cinismo. Il nostro perimetro è il nostro paese, le nostre città. Il nostro partito è l’Italia. Prendiamo carta e penna, non dimentichiamo la gomma per cancellare le forme geometriche che qualcuno vorrà disegnare e cominciamo a scrivere questo Manifesto.
Davide Faraone, sottosegretario alla Salute del governo Gentiloni
Capisco il senso della lettera, e alcuni passaggi li condivido, ma qui la questione va sintetizzata in modo forse più brutale. C’è un assedio contro Matteo Renzi. Un assedio forte, violento, coordinato che punta a ridimensionare in modo definitivo il segretario del Pd. L’assedio viene portato avanti attraverso l’utilizzo di una parola chiave che è “unità” o in alternativa “centrosinistra unito” o in alternativa ancora “coalizione”. Quando si dice “unità”, in questo caso, si dice una cosa chiara. Si dice che il leader del Partito democratico non può essere più la persona sulla quale scommetterà il centrosinistra nel futuro, a prescindere che sia stato eletto pochi mesi fa alla guida del Pd (ieri mattina a Radio Anche Io uno dei pezzi grossi di Repubblica, Claudio Tito, ha detto esplicitamente che oggi come oggi Matteo Renzi “non è adatto a fare il candidato premier”). Da una parte c’è questo modello, quello del nuovo Ulivo, che come ci ha ricordato lunedì scorso Francesco Cundari somiglia tanto a una nuova Unione. Dall’altra c’è un modello alternativo, opposto a quello proposto dal partito dello scalpo, ed è l’unico modello che Renzi dovrebbe avere il coraggio di portare avanti fino in fondo: posizionare e struttare il Pd come alternativa alla sinistra del passato e aprire il partito non alle vecchie algebre del passato ma alle nuove risorse del riformismo. Per farlo serve smetterla parlare di coalizioni, di algebra, di alleanze, investire forte su questo governo, e sulla prossima legge di Stabilità, e serve scommettere sui contenuti, sui progetti concreto, puntando tutto sull’unica rupture possibile oggi per un partito riformista: la rupture definitiva con la sinistra Peter Pan.