Gli europeisti all'amatriciana considerano anti europeista governare l'immigrazione. Risate
Al direttore - Macron chiude tutto, l’austriaco chiude il Brennero. Pensa se vincevano i populisti.
Giuseppe De Filippi
Geniale. Il punto interessante, però, non è che Macron fa gli interessi della Francia. Macron, tra le altre cose, dice che la politica delle porte aperte a tutti, in modo indiscriminato, è una politica senza senso e su questo punto ha certamente ragione. Il punto interessante – e molto perverso – è che gli europeisti italiani pensano che sia anti europeo governare l’immigrazione e pensano che l’unica linea possibile per gestire l’arrivo dei migranti sia quella di accogliere tutti, di abbattere i muri, di farsi governare dell’immigrazione invece che governarla. Da un certo punto di vista Macron ci sta ricordando che i confini di un paese esistono e vanno difesi. Si può rimproverare a Macron di non essere in prima linea nel difendere il patto firmato due anni fa dal Consiglio europeo – che prevedeva la redistribuzione di 40 mila migranti arrivati in Italia, e di quei 40 mila ne sono stati redistribuiti solo 7.000 – ma non lo si può rimproverare certo di una cosa: dirci, in modo anche brusco, che l’Italia oltre che accogliere chi arriva deve imparare a governare gli arrivi. Il premier francese ieri lo ha ribadito: aiutare sì, subire mai. Ne riparleremo.
Al direttore - Negli ultimi giorni in troppi si sono divertiti a inventare divisioni interne e cambiamenti di posizione della Lega su euro ed Europa. Chiamati in causa, sentiamo l’esigenza di replicare per ristabilire la realtà delle cose. Ci spiace per chi, forse timoroso della forte crescita del nostro partito, cerca di contrastarci con fantasiose interpretazioni ma la nostra posizione, democraticamente discussa e approvata a maggio all’ultimo Congresso di Parma con due nostre mozioni, è chiarissima, scritta e coerente da sempre. La riepiloghiamo in due righe per chi non avesse voglia di leggere i nostri documenti e per chi, magari, fa finta di non capire. Gli altri stati europei sono partner naturali e fondamentali per l’Italia ma l’Unione europea dopo Maastricht è diventata un mostro che danneggia tutti e soprattutto noi. Quindi noi vogliamo riscrivere tutti i trattati con l’obiettivo di tornare allo status di cooperazione pre-Maastricht che ha imposto moneta, parametri inventati di finanza pubblica e che col Fiscal compact è diventato ancora più assurdo. Pensiamo che uno smantellamento controllato e concordato di euro e trattati capestro sia nell’interesse di tutti. Se però dovessero dirci di no, non ci faremo umiliare come invece capita al Pd in ogni situazione, vedi beffa dei migranti. Noi saremo pronti a ogni iniziativa nell’interesse del paese e a tal proposito abbiamo idee e risposte concrete per gestire la transizione nel modo più graduale e sicuro per tutti i cittadini. Non ripeteremo l’errore della Grecia. A settembre faremo un convegno aperto a tutti in cui illustreremo pubblicamente alcune di queste proposte a tutela dei risparmi e delle imprese che ci consentiranno di presentarci al tavolo delle trattative in posizione di forza.
Giancarlo Giorgetti, vicesegretario Lega
Claudio Borghi Aquilini, responsabile politica economica Lega
Gentilissimi, grazie della vostra lettera, molto interessante. Effettivamente, abbiamo registrato l’esistenza di due linee all’interno della Lega. La prima (linea Salvini) dice che l’euro è il male assoluto e che bisogna sbarazzarsene. La seconda dice (sintetizziamo noi) che l’euro è il male assoluto ma che ci si può convivere. L’onorevole Giorgetti lo ripete da mesi. Lo ha accennato il 21 giugno durante la presentazione della nostra amica Veronica De Romanis (registrazione su Radio radicale, minuto 10). Lo ha detto pochi giorni fa al Corriere. Domanda: voi volete uscire dall’euro? “Non siamo sciocchi, sappiamo bene che questo apre questioni delicate… è possibile non uscire dall’euro purché si riscriva Maastricht”. Inutile far finta di nulla. Una parte della Lega, quella con profilo più governativo, che sa distinguere tra lotta e governo, da mesi spiega che la linea sull’euro non è così inflessibile come potrebbe sembrare. Oggi scopriamo che quella parte della Lega è stata soppressa (i veri partiti funzionano così, onore al segretario) e che la linea è una e soltanto una: smantellare l’euro. La posizione è chiara. Una ragione in più – diciamo noi – per augurarci che anche il centrodestra faccia alle elezioni quello che ci auguriamo faccia il centrosinistra: together alone. Ovvero la Lega da una parte, Forza Italia dall’altra. Grazie per la chiarezza, e mi raccomando: da oggi in poi occhio ai convegni.
Al direttore - Il segretario dell’Unione delle camere penali Francesco Petrelli difende la separazione delle carriere sulla base della riforma costituzionale del “giusto processo” del 1999. Ne so un tantinello. Se si scrive che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”, si intende che “terzo”, a differenza di “imparziale”, fa riferimento non a una condizione soggettiva, psicologica, personale, bensì a uno stato oggettivo, ontologico, di ruolo. Dunque, se sono “terzi”, i giudici non possono stare nella stessa carriera dei “primi” (i pm) né ovviamente dei “secondi” (gli avvocati). Ne segue che la separazione è scritta nella Costituzione. A me sembrò chiaro. Perciò in tutti questi anni mi sono chiesto con stupore e sgomento perché il legislatore ordinario, e il governo, non se ne sia mai accorto, perché la Corte costituzionale sia sempre stata zitta, e perché silenti e muti sono stati anche “giuristi, filosofi e magistrati del calibro di Giovanni Conso e Sabino Cassese e del livello di Biagio De Giovanni” (aggiungerei nientepopodimeno che il Consiglio superiore della magistratura). Ma soprattutto mi sono dannato l’anima a domandarmi dove fosse mai finita l’Unione delle camere penali. Poi mi sono arreso e ho sospettato che, alla fin fine, i penalisti assomigliano ai giornalisti giudiziari: tutto sommato, non gli piace che la loro carriera sia separata da quella dei procuratori.
Marcello Pera