La credibilità del governo è sul futuro di Ema, non su quello di Alfano
Al direttore - Quindi c’è Raggi e non c’è mafia capitale? Chiamiamo Strasburgo?
Giuseppe De Filippi
Chiama esercito!
Al direttore - Berlusconi parla di “quarta gamba del centrodestra”. Una volta si occupava solo della “terza gamba”.
Maurizio Crippa
Al direttore - Il Foglio fece subito notare che puntare su “Mafia Capitale” serviva solo a sfamare la bulimia complottista delle masse e dava agli inquirenti un sacco di poteri aggiuntivi per fare i loro giochi politici. Aveva ragione. Ma la soddisfazione è amara. Pensate a quella di Contrada.
Moreno Lupi
La mafia non c’è, il bollino dell’antimafia ci sarà per sempre. E il paradosso di questa inchiesta è che verrà ricordata in tutto il mondo per quello che non è mai stata: un’inchiesta sulla mafia. Ci sarebbe solo un modo per evitare che tutto il mondo resti convinto che Roma è la nuova capitale della mafia: far partire una campagna mediatica per dire che non era vero niente, che Roma ha tanti problemi ma la mafia no. Dice che succederà? Uhm.
Al direttore - Caro Cerasa, auguriamoci che il Consiglio europeo e la Commissione abbiano prestato la stessa scarsa attenzione della stampa italiana ai dati forniti dalla ricerca di Portland e che non ne tengano conto quando assegneranno all’Ema la nuova sede. L’ Expo avrebbe dovuto insegnarci quanto conti fare squadra e quali importantissimi ritorni comporti il fatto di sapersi aggiudicare manifestazioni di grande rilievo internazionale o la collocazione sul proprio territorio di agenzie come quella del farmaco. Al confronto l’enfasi data alle dimissioni di Costa appare smisurata. Con tutto il rispetto per lui, non sarà neppure sostituito. Stiano, però, bene attenti i vertici europei a non prendere decisioni affrettate ed a costringere il personale Ema e i propri cari a non esaltanti passeggiate per le strade di Bratislava.
Lorenzo Lodigiani
La credibilità di questo governo non si gioca nel rapporto con Alfano ma si gioca su questa partita. Ema, Ema, Ema. Lunedì Gentiloni sarà da Sala a Milano per provare a dare un peso specifico alla candidatura. Senza Ema l’Italia sarà più povera. E non avere in Italia l’Agenzia del farmaco sarebbe un dramma persino superiore al disastro romano delle Olimpiadi. Pensarci. Attrezzarsi.
Al direttore - La lettura di Crippa presenta il campo di battaglia di un cristianesimo da Risiko, dove il tradizionalismo cattolico risulta come un manuale di Von Clausewitz. Proprio questo scenario rappresenta la sconfitta della Chiesa registrata dalla lettura storica del Vaticano II ed ogni credente sa che la barca della Chiesa resisterà fra mille tribolazioni alla furia della tempesta. La Chiesa vincerà come sempre sulla Croce, nello scandalo e nell’umiltà del rinnovamento costante, ma questa logica, incomprensibile al mondo della razionalità rubata a Dio, non è più nemmeno compresa da troppi cristiani.
Maurizio Guerrini
Al direttore - Ho letto con molto interesse l’articolo, pubblicato ieri su questo quotidiano, di Carlo Cottarelli. La sua conoscenza della materia è oggettiva e ampiamente riconosciuta, tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale. Ha argomentato, in modo lucido ed efficace, intorno a un dilemma che si sta ripresentando, con tutta la sua carica suggestiva, nel dibattito pubblico e politico. In realtà, non è mai uscito dai radar della politica, altrimenti non spiegherebbe un livello di debito così elevato. Aumentare il deficit per aumentare la crescita. Evidentemente, come Cottarelli ci ricorda, il nesso: più deficit più crescita non funziona. Il deficit, soprattutto se mal governato, fa aumentare il debito e non la crescita. Tanto è vero che i principali mali dell’economia italiana sono l’eccessivo debito e l’insufficiente crescita. Come uscirne? Cottarelli, giustamente a mio avviso, tenendo fuori le regole europee, indica quale strada maestra quelle delle riforme strutturali. Tuttavia, non cita espressamente (sono convinto che si tratti di una mera dimenticanza, essendone anch’egli pienamente consapevole) la madre di tutte le riforme. Ovvero la riforma del sistema istituzionale e politico. Con buona pace di coloro i quali, e sono numerosi, anche tra le forze (o debolezze?) politiche, purtroppo, non ritengono fondamentale, anche per la crescita economica, la riforma delle nostre istituzioni pubbliche. Se non si riformano in maniera prudente e seria le regole istituzionali ed elettorali, il ricorso al deficit è il passaggio obbligato di qualsiasi governo, di qualsiasi colore. Un sistema istituzionale che non garantisce continuità e stabilità all’azione dei governi, difettando anche sotto il profilo della rappresentatività, come è accaduto, e un sistema partitico caratterizzato più per la sua frammentarietà e litigiosità che per l’aderenza ad un complesso di valori e di ideali ispiratori di linee programmatiche e politiche non può che nutrirsi di deficit e di breve periodo. E’ fisiologico. Infatti, come Cottarelli ci rammenta, in un orizzonte di breve periodo l’unico modo per incidere sulla crescita (non in via strutturale, si badi) è quello di fare deficit. Questo è stato l’atteggiamento di tutti i governi, di tutti partiti politici, soprattutto a partire dagli anni Ottanta arrivando ai giorni nostri. Sarebbe, dunque, opportuno e soprattutto urgente, da parte di chi ricopre incarichi di governo, e più in generale pubblici, parlare il linguaggio della chiarezza. Ricorrere al deficit, ad ogni piè sospinto, per blandire l’elettorato è irresponsabile e alla lunga accresce la distanza, e la disaffezione, tra la società civile e la politica.
Luca Pannunzi