Sui vitalizi, aveva ragione Nenni. A Parigi le Olimpiadi, a Roma i topi

Al direttore - La nave va?

Giuseppe De Filippi

 

L’Italia un po’ sì. Fincantieri non tanto. Roma non ne parliamo. Ieri altra giornata sconfortante. Il comitato Olimpico ha trovato una quadra per i prossimi anni. Parigi ospiterà le Olimpiadi del 2024. Los Angeles quelle del 2028. A Roma, nel frattempo, si continuerà allegramente a parlare di topi e il massimo sforzo che si proverà a fare sarà quello di trovare, da qui al 2028, un capo di gabinetto per Virginia Raggi.

 

Al direttore - Mauro Corona alla “Zanzara”: “Una doccia al mese e mutande pulite ogni sette giorni”. Deve essere per questo che lo invitano ovunque in tv ma sempre in collegamento.

Michele Magno

 

Al direttore - Ho seguito il dibattito in Parlamento in queste ore, sul tema vitalizi, e quando ho iniziato a osservare, nel pomeriggio di martedì, i cartelli issati dagli scranni della Camera dei deputati del Movimento 5 stelle, con su scritto a titoli cubitali “Stop al vitalizio subito”, ho capito quello che stava succedendo: ieri le manette, oggi il vitalizio.

Luca Maffei

 

La battaglia cieca, stolta e stupida contro il vitalizio viene descritta da qualcuno come se fosse una battaglia finalizzata a sgonfiare il mostro dell’anti politica ma purtroppo avrà il risultato opposto: legittimerà sempre di più chi ha fatto fortuna sostenendo genericamente che la politica è marcia e che il Parlamento, e i suoi parlamentari, sono da aprire come delle scatolette di tonno. E se poi la legge non passerà o se verrà rinviata (come è successo ieri) sarà il capolavoro: l’anti casta originaria dirà che l’anti casta secondaria ha insabbiato tutto per salvare la casta. Aveva ragione Nenni: a fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura.

 

Al direttore - Ma che valori di terzietà e indipendenza può avere questo benedetto comitato per la legalità e la trasparenza del comune di Milano? I suoi componenti sono stati scelti dal sindaco Beppe Sala che ora chiede all’organismo in questione di decidere se debba restare o meno al suo posto il capo dei vigili Barbato, non indagato ma chiamato in causa da intercettazioni e anche da sue ammissioni che farebbero emergere un comportamento poco corretto per uno che ricopre il suo ruolo. Sala, indagato dalla procura generale per Expo e in attesa della richiesta di rinvio a giudizio, in evidente imbarazzo prende tempo e passa la patata bollente al comitato, cercando di mascherare un conflitto di interessi che non è il primo. Da amministratore di Expo, evento in strettissima correlazione con il comune, avevano segnalato in molti, non avrebbe dovuto candidarsi a sindaco. Ma glielo aveva chiesto Renzi, che poi ringrazierà la procura “per il senso di responsabilità istituzionale” con il quale aveva contribuito al successo di Expo. Cioè la ringraziava per la moratoria delle indagini e la violazione del tanto decantato obbligo di esercizio dell’azione penale. La procura tutelava il candidato Sala che al di là delle presunte responsabilità penali resta portatore di un gigantesco conflitto di interessi, argomento però non più all’ordine del giorno dal momento che Lui non sta più a Palazzo Chigi.

Frank Cimini

 

Al direttore - Ha fatto bene Paolo Cirino Pomicino, nell’articolo pubblicato il 1° agosto sul Foglio, a ricordare la canea che si scatenò nel 2005 contro la Banca d’Italia di Antonio Fazio perché l’acquisizione di Bnl fosse impedita, se da conseguire da parte di Unipol, ma, soprattutto, fosse agevolata se realizzata da parte dello spagnolo Bbva. Si indicavano le sorti magnifiche e progressive della discesa in Italia di ulteriori banche estere – molte essendo già presenti e in numero nettamente maggiore di quello delle banche italiane all’estero – con miglioramenti sul piano della tutela del risparmio e della concessione di prestiti, che nessuno però ha mai potuto riscontrare. Si trattò di una provincialistica ondata di esterofilia bancaria sulla quale nessuno dei numerosi “supporters” ha poi recitato una doverosa autocritica, pur dopo la sconfitta secca in Appello e in Cassazione del Bbva. Un altro istituto estero, tra i presunti “messia”, dopo poco tempo finì smembrato da altri enti creditizi e finanziari e nessuno vide il salto di qualità che era stato preconizzato per la banca italiana, l’Antonveneta, che poi diventerà il principale motivo della grave crisi del Montepaschi. Il Foglio, di fronte a quelle vicende, si distinse per un’analisi seria e per l’attenzione all’agire di Bankitalia. Sin da allora era evidente l’assenza, nei governi, di strategie nel campo dell’intervento pubblico e del rapporti economici interstatuali. E la situazione attuale che Pomicino descrive anche per gli attuali principali snodi del sistema bancario e finanziario – Unicredit, Mediobanca, Generali – è figlia di quel deficit strategico unito a un incolto provincialismo che prova terrore al solo nominare gli interessi nazionali. Da questo punto di vista, con tutte le critiche che pur possono essere mosse e che confermo, Macron sollecita a riflettere. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

 

Al direttore - Il 2 agosto 1980 ero segretario della Cgil dell’Emilia Romagna; mi trovavo dunque in prima linea quando l’esplosivo distrusse e devastò un’intera ala della Stazione di Bologna, seminando morte e devastazione fino ai primi binari. La memoria di quella strage mi ha accompagnato per tutti questi anni, tanto che non ho mai voluto mancare alle cerimonie che ricordano il tragico evento, almeno fino a quando quella ricorrenza non è diventata un’occasione per polemiche e contestazioni, che di volta in volta si allargano sempre più e coinvolgono nuovi soggetti. L’associazione dei familiari delle vittime ha tante buone ragioni da far valere: quando ero deputato ha cercato a lungo, insieme ad altri colleghi, di sostenere le loro aspettative. Trovo però singolare per un’associazione che cerca la verità (e vuole che siano scoperti e perseguiti anche i mandanti) accontentarsi di una sentenza di condanna (peraltro passata in giudicato) che presenta parecchi aspetti non convincenti. Interessato all’argomento, ho letto il libro di Rosario Priore “I misteri di Bologna’’ dove viene accreditato con solidi argomenti e riscontri accertati (come la presenza a Bologna la sera precedente di un noto terrorista internazionale) un altro filone d’indagine incentrato sulla galassia del terrorismo palestinese, nei suoi rapporti con la Libia di Gheddafi. Capisco che i familiari delle vittime hanno bisogno di certezze, ma non riesco a giustificare l’ostinazione della loro associazione nel contrastare altre possibili ricostruzioni di quell’attentato, dei suoi esecutori e mandanti. Come se ci fosse da difendere un teorema (la strage fascista) “politicamente corretto’’.

Giuliano Cazzola

 

Al direttore - Quando si presenta un insieme di regole per concedere libero accesso a casa nostra, deve essere specificato che chi non le accetta o cerca, direttamente o indirettamente, di violarle perderà la facoltà d'accesso. E' la base di ogni istituto di contratto e di regole. Lei crede che il governo vi si sia attenuto? Io no. E' un po' strano, però. In moschea non si entra se non ti levi le scarpe. Se non te le vuoi togliere, non entri, se ciurli nel manico, ti buttano fuori. Già, ma vuoi mettere la casa di Dio con un porto italiano? No, ovviamente. Ma non si tratta sempre di regole da rispettare per entrare in casa d’altri? Sembrerebbe di sì. Vedremo.

Moreno Lupi

 

Lei ha ragione, ma c'è qualcosa di più. La partita è complicata e la partita sulle Ong vale la pena seguirla fino in fondo. Ieri la Commissione Europea, ottimo segnale, ha detto che “chi non ha firmato il codice non avrà la garanzia di usare i porti italiani”, ed è importante che questa linea non venga tradita. Le Ong che non accettano il codice non possono attraccare in Italia. Punto. In tutto questo, come racconta bene oggi Marianna Rizzini in prima pagina, c'è un dato ulteriore da mettere a fuoco. L'emergenza migranti sembra essere un po' meno emergenza. I dati di luglio ci dicono che in presenza di una politica di deterrenza, e con una progressiva collaborazione con la guardia costiera libica, i dati sugli sbarchi non sono così drammatici come qualcuno voleva far credere. A luglio, nel 2017, ci sono stati 10.781 sbarchi, sulle nostre coste. Un anno fa, nello stesso periodo, gli sbarchi furono 23552. Se il codice sulle Ong funzionerà come si deve gli sbarchi saranno ancora meno. Da qui si capisce che il problema dell'Italia, oggi, non è legato alla capacità di accoglienza, intesa come numero di persone da potere accogliere. La capacità sulla quale bisogna lavorare è la capacità organizzativa e la capacità di governare gli ingressi. La vera politica migratoria che tutela le vite umane non è quella che incentiva gli arrivi, ma è quella che gli ingressi semplicemente li governa.

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