Ogni epoca ha i filosofi che si merita. Micron e l'opzione Antani per la Libia

Al direttore - Mi consenta due divertenti citazioni, una di un filosofo vivente, l’altra di un grande artista defunto, entrambi dotati di una straordinaria vis comica. Prima citazione: “La stagione del chavismo può anche essere letta in questa chiave: un governo socialista sottoposto al vile e sempre reiterato tentativo di destabilizzazione ad opera della potenza del dollaro. [...] grazie alla mediatizzazione del reale e alla ‘logotomizzazione’ delle masse defraudate del logos come capacità del libero intendere raziocinante, questi crimini vengono salutati con gioia e come criminali sono ostracizzati quanti resistono. [...] In nome di un pluriverso multipolare, resistente alle bieche logiche del mondialismo a stelle e strisce, è bene appoggiare gli Stati che resistono e che mantengono vivo il senso della resistenza e della lotta contro i crimini dell’imperialismo made in Usa. Con le parole di Che Guevara: Patria o muerte” (Diego Fusaro, il Fatto quotidiano, 1° agosto). Seconda citazione (se qualcuno vuole intenderla come un commento, sono fatti suoi): “Lei è un cretino, si informi!” (Totò).

Michele Magno

Ogni epoca storica ha i filosofi che si merita. Ogni epoca storica ha i politici che si merita. Ricordo ancora con commozione quando Luigi Di Maio, il nostro magnifico Micron, propose, appena due mesi fa, di affidare a Maduro la pacificazione della Libia. E perché allora non provare anche con Antani?


   

Al direttore - Caro Cerasa, alla razionalità del suo articolo su Luigi Di Maio si contrappone l’irrazionalità dei molti che votano 5 stelle in buona fede, cui si aggiungono quelli che li votano e basta. Andrebbe bene se Micron si limitasse a qualche scivolata sui congiuntivi. Purtroppo la sua evidente inadeguatezza evoca guai maggiori, se mai diventerà premier. A questo io non mi sono ancora rassegnato.

Lorenzo Lodigiani

Il Movimento 5 stelle è sopravvalutato. Può vincere in Sicilia per le stesse ragioni per cui ha vinto a Roma (dopo un disastro come Marino e dopo un disastro come Crocetta, è legittimo immaginare che ci sia un ulteriore disastro). Non vincerà in Italia. Anche perché, grazie a Roma, abbiamo visto in diretta quali effetti produce la democrazia diretta. Per questo bisognerebbe dedicare un monumento a Virginia Raggi, la donna che eroicamente ogni giorno si sta impegnando per mostrare l’orrore del governo grillino.


  

Al direttore - Il meritorio articolo di Luciano Capone, che smaschera le centrali di propaganda antiscientifica italiana sugli Ogm e la loro inspiegabile promozione istituzionale, riporta anche che “la politica italiana, con qualche eccezione individuale, è sempre stata compatta sul divieto di coltivazione di Ogm e persino sulla sperimentazione in campo aperto”. A questo proposito, l’Associazione Luca Coscioni ha organizzato alla Camera dei deputati un incontro con i massimi esperti del settore dal quale è partita una raccolta firme sulla “Carta del 24 gennaio” che, tra gli altri obiettivi, richiede ai ministri Fedeli, Martina e Galletti di attivarsi per la sperimentazione in campo aperto di piante geneticamente migliorate con le nuove tecniche della modificazione del genoma (le stesse che, in campo umano, hanno consentito il successo dell'esperimento, pubblicato questa settimana su “Nature”, nella correzione di una malattia genetica su un embrione). La ricerca pubblica italiana (altro che perfide multinazionali!) sarebbe già pronta da mesi su prodotti tipici come susine e riso, come la ricercatrice Vittoria Brambilla ha spiegato un mese fa in un incontro dedicato al tema del “diritto alla scienza” che abbiamo organizzato alle Nazioni Unite di Ginevra. Purtroppo, dal governo finora non è arrivata alcuna risposta.

Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni


 

Al direttore - Certamente l’Italia ha bisogno di una estensione della concorrenza. Non imitando però, per esempio, lo pseudo ragionamento alla base della decisione di mantenere in vigore il tacito rinnovo delle polizze assicurative del ramo danni, rimuovendo alla fine la modifica apportata nel corso dell’iter della recente legge e pretendendo di fare assurdamente sapere che in tal modo si tutela l’assicurato il quale, invece, è così privato della possibilità di rivedere le proprie scelte e di stimolare conseguentemente la competizione tra le compagnie. Nella legge approvata vi sono altri punti che lasciano insoddisfatti e che andranno rivisti. Ciò, tuttavia, non vulnera quel che scrive la Ciliegia il 4 agosto sull’importanza della concorrenza; anzi, sospinge a porre la questione dell’essenzialità delle regole e di un’adeguata loro fattura, perché si possa parlare di vera concorrenza, nonché dell’efficacia dei controlli. Ma una tale considerazione della concorrenza non presuppone il superamento dell’intervento pubblico in economia, come se fosse un male non guaribile, rinunciando alla riformabilità e alla puntualizzazione dei relativi settori. Del resto, se fosse veramente così e il male stesse nell’irredimibile, deteriore rapporto tra politica ed economia, si dovrebbe allora spiegare perché la prima dovrebbe rinunciare a questa sua (deleteria) ingerenza per promuovere una taumaturgica concorrenza. “Pas trop de zèle”, dunque, anche per quest’ultima, in specie quando si contrabbandano per introduzione della concorrenza soluzioni che altro non sono, quale quella citata, che espressione chiara del fruttuoso, intenso lavoro delle lobby. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

  

Non sono contrario alla presenza del pubblico in economia e neppure alla presenza dello stato in alcune aziende considerate strategiche per l’interesse nazionale. Sono contrario, invece, a quei contesti in cui lo stato capitalista agisce senza occuparsi dell’efficienza dell’aziende che gestisce e sono contrario a quei contesti in cui lo stato (o il pubblico) non arretra quando dimostra di aver fallito. Vale a Roma per l’Atac, un’azienda destinata a esplodere economicamente da qui alla fine dell’anno. Vale, in piccolo, per Fincantieri, che se fosse stata gestita solo ed esclusivamente con logiche di mercato non avrebbe accumulato 600 milioni di debiti e non avrebbe bruciato in cinque anni 600 milioni di capitalizzazioni. Un comune che non privatizza un’azienda praticamente fallita è un comune destinato al fallimento. Uno stato che non rende efficiente un’eccellenza nazionale è uno stato destinato ad alimentare, e non a combattere, le sue sacche di inefficienza.

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