L'Ulivo è Di Pietro. L'Italia va, ma se ne accorgono solo fuori
Al direttore - Caro Cerasa, lei ha fatto sua la filosofia di Roser sull’ottimismo e molti dovrebbero imitarla. Cercare soluzioni per i problemi reali, attribuendo il giusto valore a quelli secondari. La percezione dei fatti deve tendere alla realtà ed è un bene incommensurabile darsi da fare perché questo avvenga. Aggiungerei di mio che è giusto svergognare chi propone di continuo soluzioni semplici a problemi complessi. A proposito, Salvini lo preferisco impegnato con successo in una gara di rutti piuttosto di vederlo trasformato in un tardo paladino dell’euro.
Lorenzo Lodigiani
La ragione per cui si fa una grande fatica a raccontare le cose che migliorano, e la ragione per cui si tende a drammatizzare ogni cosa che accade, è legata al fatto che in Italia il nostro sistema informativo (e politico) si abbevera da anni all’industria dell’emergenza. E l’industria dell’emergenza è un’industria pericolosa perché non conosce soste e quando un’emergenza finisce ce ne deve essere sempre un’altra che comincia, anche in assenza di un’emergenza vera. Se ci pensate bene il populismo becero e cialtrone nasce anche così e chi non si impegna a combattere l’industria dell’emergenza significa che in qualche modo ha scelto di essere complice di un sistema pazzotico e culturalmente criminale.
Al direttore - Il Roser dice delle cose assai condivisibili, probabilmente considerando come partenza la percezione di quella enorme “distribuzione di pani e pesci” che fu la prima rivoluzione industriale, della quale i socialisti vedevano, con qualche ragione, solo la parte sfruttamento. Ma che si trovino antipatici i “populisti” (il termine lo si può usare per tutto e il suo contrario in base alle antipatie) sol perché cercano, in modo rozzo e inefficace quanto si vuole, di difendere la nostra cultura dal pervicace stravolgimento progressista in atto mi sembra, nonostante io faccia fatica a frenare certe mie antipatie personali, eccessivo. Perché, e questo è triste, sono in definitiva i soli cui il “calpesti e derisi” dell’inno nazionale sembra dia fastidio. Certo, i dati Istat ci dicono che almeno c’è ancora del grasso che cola. Ma al “calpesti e derisi”, anche se col mugugno, ci siamo tutti lietamente appecoronati. Speriamo in un giogo reso sempre sopportabile dai dati Istat.
Mauro Martini
Non lo so. So soltanto che l’Italia va meglio di quanto sembra e tranne che in Italia iniziano ad accorgersene tutti. Ieri lo ha scritto il Financial Times, segnalando che la ripresa italiana è incredibilmente superiore alle attese. Due giorni fa lo ha scritto Quartz, riportando una notizia misteriosamente sfuggita a molti attenti osservatori italiani: “Believe it or not, Italy is the best performing stock market in the G7 so far this year”.
Al direttore - Antonio Di Pietro pronto a candidarsi in Molise con una lista unitaria che si rifà a Prodi. Non ci resta che trebbiare.
Luca Dinolfi
Lei ci scherza, ma quando Antonio Di Pietro dice che grazie a lui, nella sua regione, potrebbe rivivere lo spirito dell’Ulivo, dice il vero. L’Ulivo era anche Prodi. Prodi era anche Di Pietro. Senza i Di Pietro, i governi Prodi non ci sarebbero mai stati. E quando Di Pietro dice che la continuità con quel periodo storico può essere la sua candidatura unitaria dice il vero, e allo stesso tempo fa capire una cosa chiara: l’unica discontinuità possibile per il centrosinistra è la non continuità con quel progetto politico. E’ così facile, no?
Al direttore - Immagino che l’intervista di Marianna Rizzini ad Andrea Zapparoli dei Nas sulle “canne” sia stata fatta prima che questi potesse leggere la Relazione al Parlamento 2017 sullo stato degli stupefacenti in Italia del Dipartimento politiche antidroga. Molti dei timori infatti paiono del tutto infondati. Vediamone almeno sei:
1) in un paese dove sei milioni di persone incontrano (abitualmente o saltuariamente) gli stupefacenti i ricoveri siano stati 6083 – lo 0.1 per cento di chi ne fa uso;
2) il rapporto con le sostanze non è un problema prevalentemente giovanile, le statistiche analizzano la popolazione fra i 15 e i 64 anni e ci dicono che il 33 per cento della popolazione totale (!) che nel corso della propria vita ha provato almeno una sostanza psicoattiva illegale è spalmato uniformemente tra gruppi d’età;
3) i luoghi di approvvigionamento più frequentemente utilizzati sono la discoteca (39 per cento), i concerti o rave (31 per cento), la strada (30 per cento) e la casa dello spacciatore (30 per cento), non il deep web;
4) l’mdma diventata protagonista per “il triste caso di Chiavari” non è una “droga leggera”, è un cosiddetto stimolante noto ai più, tanto è vero che solo il 2 per cento di chi ne fa uso non sa cosa ingerisce;
5) per quanto ogni morte sia tragica, non ci sono statistiche che confermino, neanche a livello europeo, la estrema pericolosità in sé dell’mdma;
6) ultimo ma non ultimo, se la prevenzione dell’uso fosse così importante per le istituzioni non si capisce come mai, come segnalato da Radicali Italiani, nel 2016 son stati stanziati 1.632.176,17 euro per il Sistema nazionale di allerta precoce ma impiegati solamente 30.283,17 euro (1,86 per cento del totale) e le segnalazioni pervenute sono state solo 15.
Insomma, posto che il fenomeno è di dimensioni sicuramente importanti e che se ne dovrebbe poter parlare in modo istituzionale in occasione della Conferenza nazionale sulle droghe, come chiesto tramite diffida al governo dall’Associazione Luca Coscioni, Antigone, Forum droghe, Lila e la Società della Ragione, evento che non viene convocato dal 2009, va ricordato, una volta di più, che le droghe fanno male come qualsiasi altra sostanza – intossicante o meno. Paracelso ci insegna che è la quantità che fa il veleno, il buon senso che i carabinieri non possono gestire un problema strutturale come questo.
Marco Perduca