Ci vuole Arbasino per capire cos'è oggi l'estremismo umanitario
"Il problema delle immigrazioni viene per lo più affrontato con le formule vaste e vaghe di cui abbonda la tradizione demagogica italiana"
Al direttore - Autoritari alla deriva.
Giuseppe De Filippi
A proposito di ong. A proposito di immigrazione. Un amico mi ha girato un testo formidabile su questo tema scritto il 24 settembre del 1995 da Alberto Arbasino. Arbasino scriveva che “il problema delle immigrazioni viene per lo più affrontato con le formule vaste e vaghe di cui abbonda la tradizione demagogica italiana: elargire provvidenze al Mezzogiorno, potenziare le ferrovie, venire incontro alle esigenze della scuola, riformare il sistema sanitario e quello giudiziario… sempre con molta enfasi emotiva, e senza mai quantificare: quante aule o celle, quanti vagoni o letti, quanti immigrati, quanti miliardi, e di dove si cavano in un paese carico di disoccupati e di debiti”. “Gli immigrati – proseguiva Arbasino – nella retorica politica attuale sembrano costituire una vasta entità astratta senza confini precisi, dove non si fa distinzione fra legali e illegali, o fra migliaia e milioni, quando la legge viene subordinata al ‘buonismo’ più ingenuo o più cinico. Extracomunitari diventa una qualifica salvifica che esime dall’osservare le diverse leggi civili e penali e amministrative e commerciali vigenti nella Repubblica in nome del ‘buon cuore’. Invece i cittadini italiani dovrebbero provare sensi di colpa o vergogna per le distruzioni e miserie non provocate da loro in Asia e in Africa, e nei confronti di chiunque penetri abusivamente nel nostro Stato”. Basterebbe questo, ma c’è anche altro. “Anche l’ingenuità solidaristica e il buon cuore assistenziale possono combinare guai, mescolandosi ai moralismi più minacciosi, alle demagogie già elettorali, alle cautele da pesci in barile, al giocare con le parole senza un minimo di considerazioni realistiche, come base pratica per proposte legislative di misure concrete… Molti comportamenti italiani attuali hanno radici profonde nella nostra storia e nel nostro carattere. Antiche solidarietà assistenziali di origine cattolica e di sinistra, spinte fino a trascurare che i centri benefici per i gigli del campo e gli uccelli dell’aria possono divenire basi e canali per i traffici del parassitismo e della malavita…
E’ evidente, è innegabile, che una larga parte della ‘gente’ (cioè, del popolo italiano) si vada attualmente mostrando, per comportamenti e sentimenti e istinti, molto più affine ai popoli ‘extracomunitari’ sotto il Mediterraneo che non ai ‘comunitari’ sopra le Alpi. Basta notare le adesioni emotive a tutto ciò che porta l’etichetta di ‘extra’ , e l’avversione o diffidenza per tutto ciò che in quanto europeo viene sentito come estraneo. Bisogna osservare le scene di strada: i giovani romani, non per ideologia ma per inclinazione, non per cultura ma per natura, si mostrano più affiatati con gli ambulanti della Nigeria e del Ghana che con i loro coetanei di Berlino o Lugano. Anche perché questi non dispongono di treccine, tamburi, braccialetti, roba di contrabbando su tappetini e cassette, motorini truccati, rivolte contro gli sbirri… E dunque risultano ‘alieni’. E i cittadini, nonché elettori, ‘normali’? Nella maggior parte, abbiente, non hanno occasione di incontrare i disoccupati italiani poveri, che non vivono in casa di genitori agiati, non dispongono di telefonini, e non trovano lavoro in quanto portato via dagli stranieri. Secondo la formula più signorile: ‘quei lavori che i disoccupati italiani non vogliono più fare’. Ed eccoli sistemati: fannulloni, schizzinosi incontentabili. La gente comune però incontra innanzitutto i lavavetri; e dopo una decina di semafori con assalto e questua si possono prevedere anche reazioni di violenza crescente, da parte dei cittadini intrappolati e stressati da un’ora e più nell’inquinamento e nel traffico, secondo le statistiche. Ma saranno ‘intolleranze razziste’? O la medesima irritazione (‘antireligiosa’?) già provata alla decima intrufolona che pretende offerte per Santa Cecia ogni volta che ci si siede per un caffè”. Un pezzo fantastico. Venne pubblicato su Repubblica. Sarebbe bello rileggerlo per intero proprio su quel giornale.