Un'altra giornata complicata per i cavalieri della gogna
Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 17 agosto
Al direttore - Ma quando esce l’Istat su Woodcock?
Giuseppe De Filippi
Dunque. Romeo è stato 168 giorni in custodia cautelare. Ora il Riesame dice che la custodia non ci doveva essere. Un’altra giornata di gloria per il nostro eroe Woodcock. Un’altra giornata complicata per i cavalieri della gogna.
Al direttore - Volevo dire qualcosa di originale anche io sul calciomercato di quest’anno, sulle cifre “folli” che girano e sugli acquisti che “cambieranno per sempre il calcio”, per non parlare delle cessioni “immorali” di cui abbiamo letto in queste settimane. Ma ho scoperto che tutto era già stato detto da Ernesto Sábato in “Sopra eroi e tombe”. A un certo punto del romanzo c’è questo dialogo tra due personaggi, in un bar. “– Tu, Cicín, di’, tanto per dire, quanto l’hanno pagato quel brocco di Cincotta? - […] Che ne so, due milioni? – […] Tre e mezzo, – e dopo un silenzio adeguato all’enormità della cifra concluse, – e adesso dimmi tu se in questo paese non siamo tutti impazziti. […] Questo non è più football, che cosa ci si può aspettare da giocatori che si comprano e vendono come vacche?”. Il libro è uscito nel 1961, ed è ambientato a Buenos Aires a metà degli anni Cinquanta. C’erano già Neymar e il Qatar, forse.
Piero Vietti
Al direttore - Qualche giorno fa ho letto sul Foglio una stroncatura, a firma di Michele Silenzi, di un libro di Massimo De Carolis appena uscito per l’editore Quodlibet di Macerata, dedicato alla vicenda, sia intellettuale sia politica, di quello che viene comunemente chiamato “neoliberalismo”: “Il rovescio della libertà. Tramonto del neoliberalismo e disagio della civiltà”. Avevo già sul mio tavolo da qualche giorno il libro di De Carolis, che conosco come studioso serio, ma non lo avevo ancora letto. D’altronde, conosco anche, anzi sono amico di Michele Silenzi, che mi sembra uno dei più bravi e promettenti giovani studiosi in circolazione e con il quale ho varie volte potuto verificare una convergenza di idee e vedute. Mi sono perciò ripromesso, sospendendo come è mio solito il giudizio in questi casi, di leggere subito il libro di De Carolis, per verificarne direttamente il peso e il valore ai miei occhi. A lettura avvenuta, mi sento di dire che questa volta il Foglio e l’amico Silenzi hanno preso un abbaglio. Il libro di De Carolis è, tutto sommato, uno dei maggiori omaggi che si potesse fare al liberalismo e al neoliberalismo, almeno di non pensare che la grandezza o importanza dei movimenti e dei pensatori la si possa riconoscere solo per via acritica o apologetica. Un omaggio tanto più importante in quanto viene compiuto da un autore che di formazione sicuramente liberale non è e che, in tutto il suo discorso, conserva sempre un impianto critico e non ideologico, cioè non prevenuto e argomentato. Si può non essere d’accordo con la sua visione, e anche con alcune o anche molte delle sue analisi, come è capitato al sottoscritto, ma non si può non ammettere che la critica si mantiene sempre a un non comune livello di profondità e non è mai volgare (quella profondità che spesso non attingono, ma non è nell’ordine forse delle cose, anche molti epigoni dei Padri fondatori, cioè dei Mises e degli Hayek per intenderci). Il libro finisce perciò per essere un riconoscimento alla non banalità o non ingenuità filosofica di autori che generalmente sono stati snobbati e guardati con mal riposta superiorità dalla critica filosofica italiana (nel mio piccolo avevo anche io, che però liberale sono, tentato l’anno scorso, in “Il liberalismo nel Novecento”. Da Croce a Berlin di Rubbettino, uno “sdoganamento” filosofico di una corrente di pensiero, e di azione, che è generalmente fra gli studiosi più nota che conosciuta). Il libro di De Carolis non ha perciò nulla a che vedere con la vasta e varia, e spesso grossolana (si pensi a un Diego Fusaro), letteratura pregiudizialmente anticapitalistica e antiliberale a cui pure Silenzi nel suo articolo lo accomuna liquidandolo. L’autore vede sempre i chiaroscuri delle vicende e delle idee e mantiene il discorso sempre a un livello elevato o speculativo: è cioè intellettualmente onesto, già nello stile di scrittura e nell’argomentazione. Mi sembra che sia il primo tentativo che viene in Italia fuori da una certa area, e diciamo pure da una certa “casta filosofica” (generalmente di sinistra e post-sessantottina), di “prendere sul serio” certe idee. Un libro discutibilissimo per chi come me la pensa diversamente (e non crede ad esempio in una crisi del liberalismo o in un’alternativa cosmopolitica, seppure non di un cosmopolitismo ingenuo come è nel caso di De Carolis). Ma un libro a cui va sicuramente concessa la pariglia: prendendolo sul serio, mantenendo la discussione al suo livello, affinando i propri concetti per meglio contrastarlo dove va contrastato. D’altronde, solo con un passaggio dall’empirico allo speculativo, solo elevandolo al livello della filosofia, il liberalismo che ci sta tanto caro può avere per noi un senso e/o un futuro.
Corrado Ocone
Al direttore - I giorni del riposo estivo spesso risvegliano il ricordo di antiche e amate letture, messe a comparazione con eventi del tempo presente e, soprattutto, con i tentativi nostri, talora riusciti talvolta meno, di interpretazione dei medesimi. Mi si consenta, dunque, di riportare letteralmente le parole scritte nel 1927 da Benedetto Croce, tratte da “Storia d’Italia dal 1871 al 1915” (edizione Bibliopolis, 2004, pagg. 15-16). Il filosofo italiano, descrivendo le qualità espresse dall’élite politica risorgimentale che realizzò l’Unità d’Italia, così si esprime: per quel ceto politico “la libertà importava la spontanea autorità del sapere, della rettitudine, della capacità… e richiedeva il coraggio della verità, l’opera razionale della discussione e dell’accettata conclusione, la coerenza tra il pensiero e l’azione, sdegnando essi come ciarlatanesimo [leggi cialtronismo, copyright Claudio Cerasa – n.d.s.] l’oratoria dei demagoghi”. Quest’ultimi, all’opposto, appellati da Croce come politicanti di “minore o inferiore cultura… usi come uomini di cospirazioni e sommosse… a non darsi troppo pensiero di promettere quel che non si poteva mantenere”. Come dire: la storia è sempre contemporanea.
Alberto Bianchi