Sovranisti e Brexit. 2017: meno morti in mare. Cantone vs Pomicino

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 30 agosto 2017

Al direttore - Quindi Brexit entra a fine anno nello one thousand prorogations?

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Ho letto nel suo articolo di ieri sulla Brexit che a causa della decisione della Gran Bretagna di uscire dall’Unione europea i prezzi medi sull’Apple Store sono aumentati circa del 25 per cento. Il professor Claudio Borghi, su Twitter, ieri ha segnalato però che se si confrontano oggi i prezzi degli iPhone su Apple Store non sembra esserci stato chissà quale disastro. Anzi: in Italia, un iPhone 7 costa 799 euro, mentre in Gran Bretagna costa 599 pound, circa 640 euro. Dov’è la verità? Grazie.

Camillo Tartoni

Ho risposto al professor Borghi – che essendo un teorico del sovranismo tende a non vedere i danni prodotti dal sovranismo – che per capire dove sta la verità è sufficiente dare un’occhiata a quello che è successo negli ultimi mesi sull’Apple Store inglese. Borghi scoprirà che, grazie alla Brexit, il potere di acquisto degli inglesi si sta lentamente riducendo, giorno dopo giorno. Piccoli esempi. Prima della Brexit, un iPad Pro costava 619 pound, oggi 639. L’iPhone 7 è passato da 539 pound a 599. L’iPhone 7 plus da 819 a 919. Il MacBook Pro 2016 con Touch Bar costa 1.749, il modello precedente al momento del lancio costava 999 pound. Una batteria ricaricabile per iPhone costava 79 pound e ora ne costa 99. Le app che costavano 79 pound sono state portate a 99 pound. Apple, come certamente saprà il professor Borghi, a gennaio aveva già annunciato la sua decisione, spiegandola così: “I prezzi su App Store sono impostati sulla base di diversi fattori, tra cui i tassi di cambio, le pratiche commerciali, le tasse e il costo del business in un paese”. Dopo la Brexit i prezzi dell’Apple Store sono aumentati in media del 25 per cento. La Gran Bretagna, purtroppo per Borghi e gli amici sovranisti, cercava maggiore protezione uscendo dall’Europa. Al momento non l’ha trovata. E non può sorprendere dunque che ogni giorno arrivino segnali che ci dicono che la Gran Bretagna del post leave è una Gran Bretagna meno accogliente e meno sicura del pre leave. Piccolo dettaglio ulteriore offerto pochi giorni fa da Reuters. Nel 2016 i cittadini britannici che hanno chiesto il passaporto tedesco sono stati 2.865. Sono il 361 per cento in più rispetto al 2015. Massì: viva la Brexit.

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, non le pare bizzarro che proprio nell’anno in cui nel mare di fronte all’Italia si registrano meno migranti morti ci sia chi, soprattutto a sinistra, definisce da schiavisti la gestione delle politiche migratorie del nostro paese?

Luca Taddei

E’ surreale ma logico. Il fronte umanitarista, perfettamente rappresentato da Repubblica, oggi, di fronte ai nuovi numeri sull’immigrazione, è costretto a dire la verità. Le vite da salvare non sono solo quelle che si trovano in mare, ma sono quelle che si trovano direttamente in Africa. Sono quelle vite che per ragioni di ogni tipo vorrebbero scappare dalle loro terre per arrivare nelle nostre terre e il compito dell’occidente, sempre secondo il ragionamento dell’umanitarista collettivo, non dovrebbe essere quello di arginare questo esodo, ma dovrebbe essere solo quello di incentivarlo. Per questo nessun umanitarista potrà esultare leggendo i dati diffusi ieri dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Numero morti nel Mediterraneo a luglio dal 2014 al 2017: 864, 230, 226, 130. Ad agosto, dal 2014 al 2017: 616, 689, 62, 21. Che cosa significa? Significa quello che ripetiamo da sempre: paradossalmente una politica che punta a incentivare le partenze rischia di far aumentare i morti in mare. Se davvero si vogliono salvare le vite delle persone che scappano dalle loro terre, e dalle loro guerre, occorre da un lato governare l’immigrazione e dall’altro migliorare le condizioni di vita di chi si trova in paese da cui scappare non è l’unica opzione possibile.

 


 

Al direttore - Gentile Cerasa, l’onorevole Paolo Cirino Pomicino nella lettera di ieri (“Consip e fake news”) è riuscito a inanellare in poche righe una serie tali di topiche al punto che, se non ne fosse nota la statura morale e politica, quasi si stenterebbe a credere alla sua buonafede. Se ha davvero “letto le carte processuali”, come sostiene, l’ex ministro di sicuro sa benissimo che l’esposto dell’imprenditore Alfredo Romeo su un presunto cartello ai suoi danni non riguardava la gara FM4 per la quale è stato arrestato (e sulla quale, chissà perché, non sono giunte segnalazioni di illeciti da nessuno dei concorrenti) ma quella per il Servizio Luce, caratterizzata da una ben diversa platea di competitor e su cui è in corso un’indagine dell’Anac. Indagine, tengo a precisare, aperta a distanza di mesi dalla presentazione dell’esposto poiché prima era necessario completare l’esame della poderosa documentazione acquisita sulle gare Consip del biennio 2014-2015. Prima ancora dell’inchiesta giudiziaria, infatti, l’Anticorruzione nella scorsa estate ha compiuto autonomamente in Consip un’ispezione che ha rilevato criticità analoghe a quelle emerse a seguito delle indagini dei pm di Napoli e Roma. Quanto alla “anomalia oggettiva” che l’Anac rappresenterebbe nel nostro ordinamento, mi limito sommessamente a far notare che l’Autorità che presiedo non è figlia di un capriccio del legislatore ma è nata in attuazione di una apposita convenzione Onu contro la corruzione ratificata nel 2009. Tutte circostanze che un ex ministro di rango, attento, probo e irreprensibile come Pomicino di certo conosce bene. O almeno, dovrebbe.

Raffaele Cantone, presidente dell’Anac

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