Ok, ma come sta l'Italia? Cottarelli scrive a Fortis. Fortis risponde
Al direttore - A oggi quello dei 5 stelle è un partito consolidato, che può contare su milioni di voti. Cosa ci voleva a organizzare delle primarie appena credibili? Un candidato dice: “Spero che mia moglie mi voti”, un altro conta sulle preferenze di vegani e fruttariani, un terzo, per mantenere fede al ruolo di sfidante, alzicchia la voce e attacca Di Maio: “Inadatto”. Il Movimento è passato dal teatro comico alla farsa.
Jori Diego Cherubini
Uno dei candidati alla primarie del 5 stelle ha detto ieri al Corriere della Sera: “Non voglio vincere, preferisco Luigi”. L’hashtag è già pronto: #credibilità-tà-tà.
Al direttore - Ho letto con interesse l’articolo di Marco Fortis apparso il 14 settembre su queste colonne in cui si sostiene che i dati più recenti mostrano che l’economia italiana “non si sta facendo affatto staccare dal gruppo che veramente conta in classifica”. Fortis ottiene risultati diversi da quelli da me presentati il 13 settembre guardando al tasso di crescita del pil nel primo semestre del 2017 rispetto al primo semestre del 2016 usando dati grezzi, non corretti per giorni lavorativi e facendo il confronto non con l’area dell’euro, ma con alcuni grandi paesi (i G7 tranne Canada e Stati Uniti per cui non trova dati disponibili). Vedo qualche problema in questo approccio. Innanzitutto, in termini di metodo, guardare ai dati grezzi non dà un’idea delle tendenze sottostanti: se in un semestre o in un anno si cresce di più solo perché ci sono più giorni lavorativi, non è una notizia particolarmente bella per l’economia. Ma non è questo il problema principale. Il problema principale è che la performance dell’Italia deve essere valutata rispetto a quella degli altri paesi europei con cui condivide la stessa moneta, politica monetaria, tasso di cambio e con la quale è più direttamente collegata, beneficiando, in questo momento, della generale situazione di maggiore crescita. Non è utile confrontarsi con altre aree del mondo che sono influenzate da un insieme di altri fattori, come il Regno Unito che forse sta ora cominciando a risentire dell’incertezza del dopo referendum sulla Brexit. Confrontarsi poi col Giappone (il paese che, insieme a Grecia e Italia è cresciuto meno di tutti i paesi avanzati negli ultimi 25 anni) non è molto significativo. Noterei, in ogni caso, che i dati disponibili suggeriscono per i due paesi G7 esclusi da Fortis tassi di crescita per quest’anno ben superiori a quello italiano (tra il 2 e il 2 e mezzo per cento per gli Stati Uniti e tra il 2 e mezzo e il 3 per cento per il Canada). Infine, se guardiamo all’euro area, non c’è solo la Germania o i Baltici che crescono più di noi: c’è anche la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda, l’Olanda, la Finlandia, l’Austria eccetera. Vedremo a fine anno come andrà a finire. Io spero che l’Italia acceleri e passi tutti gli altri. Anzi, io penso che l’Italia abbia senz’altro il potenziale per crescere più rapidamente degli altri riducendo il distacco che si è creato dall’inizio del 2000 in termini di livello di reddito, magari non quest’anno ma in un prossimo futuro. Ma al momento non è ancora così ed è solo riconoscendolo che possiamo cercare far meglio. Fra le altre cose, questo dovrebbe spronarci a ridurre quelle inefficienze nel settore terziario e quei freni burocratici alla crescita che sono giustamente ricordati anche da Fortis.
Carlo Cottarelli
Risponde Marco Fortis: Nel suo commento al mio articolo del 14 settembre scorso Carlo Cottarelli sostiene che i dati grezzi infra-annuali (trimestrali e semestrali) del pil non sarebbero granché significativi perché incapaci di cogliere le “tendenze sottostanti”. A nostro avviso invece una indicazione chiara di tendenza anche i dati grezzi la forniscono, né più né meno dei dati destagionalizzati e corretti per il calendario, specie se si confrontano periodi relativamente lunghi come i semestri di due anni diversi. Cottarelli osserva inoltre, sempre riguardo ai dati grezzi, che non sarebbe una “notizia particolarmente bella” una crescita ottenuta solo perché in un anno ci sono stati dei giorni lavorativi in più. A tal proposito facciamo però notare che questo non è certamente il caso del primo semestre 2017 in cui, in base ai dati Eurostat, il pil italiano è cresciuto tendenzialmente dell’1,6 per cento in termini reali rispetto al primo semestre 2016 sia secondo i valori grezzi sia secondo quelli corretti per i giorni effettivamente lavorati ma non destagionalizzati. Il calendario non è stato dunque evidentemente decisivo al riguardo. La crescita italiana si conferma inoltre superiore a quella della Francia (l’unico altro grande paese dell’area euro per cui sono disponibili entrambi i tipi di stime) sia con i dati grezzi (la Francia ha ottenuto nel primo semestre di quest’anno un +1,2 per cento) sia con quelli corretti per i giorni lavorativi ma non destagionalizzati (+1,4 per cento). Ribadiamo altresì che per la statistica è la somma dei dati grezzi trimestrali quella che conta ufficialmente e che fornisce la crescita annua finale del pil e non la somma dei dati destagionalizzati e corretti per il calendario. Dunque aspettiamo la fine del 2017 e poi trarremo le conclusioni. Anche le nuove stime Ocse di ieri, del resto, dimostrano che tutte le istituzioni stanno via via alzando le loro previsioni di crescita dell’Italia. Sul piano della sostanza restiamo poi dell’opinione che i confronti che hanno un senso sono quelli con i grandi paesi e con le medie delle aree geografiche di riferimento piuttosto che con singole economie di piccole dimensioni. Piccoli paesi, per capirci, sono non solo quelli baltici ma anche Portogallo, Finlandia, Austria o Irlanda (nel quale ultimo caso, tra l’altro, la forte crescita degli ultimi anni è stata dovuta in massima parte al mero spostamento di sedi legali di multinazionali estere a Dublino piuttosto che a fattori virtuosi). Facciamo allora una comparazione omogenea della crescita economica dell’Italia nel primo semestre 2014 rispetto al primo semestre 2017. I progressi sono evidenti: il nostro pil aveva allora 1,1 punti percentuali di ritardo sulla media dell’euro area, ritardo che ora si è ridotto a 5 decimali; il distacco con la Germania era addirittura di 1,9 punti percentuali, adesso scesi solo a 4 decimali; la Francia, da cui ci separava un ritardo di 7 decimali, ora l’abbiamo sopravanzata di 4 decimali. Solo la Spagna ha accelerato più di noi. Ma non sfuggirà a Cottarelli che nel rapporto annuo tra l’avanzo statale primario/pil spagnolo e il nostro (secondo le ultime cifre note del 2016) corre anche la bella differenza di 3,2 punti percentuali di pil. Con il deficit della Spagna anche l’Italia sarebbe capace di correre al 3 per cento annuo, forse persino di più.