Così il M5s sta demolendo la nostra democrazia
Al direttore - Scriveva Leonardo Sciascia: “… non che la verità non sia bella: ma a volte fa tanto di quel danno che il tacerla non è colpa ma merito”. Questa espressione mi è tornata in mente alla lettura dell’intervista all’on. Roberta Lombardi, pubblicata il 2 ottobre sulla Stampa. Titolo: Lombardi su caso Raggi , “Il nostro codice è chiaro, se condannata deve lasciare”. E’ stata sincera. Che c’è di male nella sincerità? Nulla, quando questa sincerità non sia, invece, spregiudicatezza. Perché qui non è più solo una questione di sincerità, non è più solo una questione di immatura inadeguatezza alla comprensione di quei meccanismi necessari per governare. Come definire altrimenti il monito dell’on. Lombardi al sindaco Raggi? Le dichiarazioni dell’on. Lombardi riportano anche oggi la questione al contratto con penale da 150 mila euro. Contratto che i grillini chiamano “codice etico”, ma che in realtà è un contratto a tutti gli effetti in quanto provvisto addirittura di clausole vessatorie. Non è un codice etico, è un contratto che regolamenta ciò che il sindaco della capitale d’Italia può o non può fare, a giudizio insindacabile di privati non eletti, e a fronte del pagamento di una ingente somma di danaro: 150 mila euro (art. 10 comma 2 del contratto). In sostanza la Lombardi rivendica l’applicazione di una clausola contrattuale, e in particolare dell’art. 9 lettera a) “Il sindaco, ciascun Assessore e ciascun consigliere assume l’impegno etico di dimettersi se, durante il mandato, sarà condannato in sede penale, anche solo in primo grado”. Un impegno è etico soltanto se è privo di forza giuridica, non lo è se contiene una ingente sanzione pecuniaria. Orbene, se la dichiarazione di nullità del contratto Raggi sarebbe stata doverosa già il giorno dopo l’avvenuta elezione del sindaco alla giuda della Capitale d’Italia, oggi diviene ancor più necessaria in quanto il sindaco Raggi è stato rinviato a giudizio dalla procura di Roma con l’accusa di falso ideologico. Circostanza che rende pericolosamente concreta l’ipotesi di dimissioni a seguito di una probabile condanna già in primo grado. Ma una condanna penale della Raggi equivarrebbe alle sue dimissioni dalla carica e questo sottrarrebbe al giudice penale quella serenità che deve avere, invece, nel decidere. In buona sostanza si sono inventati un vero e proprio ricatto alla magistratura. Sembrano dire: le regole ce le scriviamo da soli, tu guardatene bene dal giudicarci. Ma non è né l’unica né la più grave delle conseguenze. Infatti l’obbligo contrattuale dalle dimissioni, per ipotesi che la legge non prescrive, vìola anche il principio costituzionale di presunzione di innocenza che vale fino alla sentenza definitiva di condanna, e anticipa già al primo grado un giudizio politico di colpevolezza. Inoltre, invade anche il potere del giudice di disporre la sanzione dell’interdizione dai pubblici uffici. Questo meccanismo illegale, da parte dei vertici dei Cinque stelle, di imporre la sottoscrizione di contratti ai candidati alle cariche pubbliche – cosa avvenuta di recente anche per le amministrative di Palermo e su cui il tribunale del capoluogo siciliano ha pronunciato condanna di riprovevolezza annullando le primarie dei Cinque stelle – va assolutamente e rapidamente fermato. E chi può farlo se non la magistratura? Se questo non avverrà presto o tardi i Cinque stelle potranno inventarsi nuove e ulteriori regole, ancora più stringenti e atte a comprimere maggiormente la democrazia, fino a minare, in definitiva, l’indipendenza stessa della magistratura. Se da un lato mi conforta sapere che insigni giuristi credono, anch’essi, che imporre contratti di natura illecita non sia una questione privata, ma una questione di tenuta democratica, dall’altro lato provo sconforto e sdegno nei confronti di coloro che per comodità non prendono posizione sul punto, fingendo di credere che, tutto sommato, i vertici dei Cinque stelle siano inoffensivi, mentre invece stanno tentando di demolire passo dopo passo, atto dopo atto, elezione dopo elezione la democrazia di questo paese.
Venerando Monello