La politica immobile di fronte alle supplenze esterne. Risponde Fedeli
Al direttore - Renzi: non ho posto questione nome Visco. Però evitiamo Vincenzo.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Le élite americane sono travolte da una deriva di maccartismo etico. Nella smania iconoclasta per la propria storia, dopo aver disarcionato Robert Lee, sono arrivati a ripudiare persino il povero Cristoforo Colombo, senza le cui “scoperte’’ i loro antenati sarebbero finiti sui roghi della Santa inquisizione o divorati dalle pulci nelle loro stamberghe (se non morivano prima di fame o di epidemie). Ora, denunciando in coro le molestie di Harvey Weinstein – divenuto il “capro espiatorio’’ (ci somiglia pure) dei vizi della Mecca del cinema – le donne si assicurano la patente di vittime (e quindi si autoassolvono) e gli uomini tentano di nascondere la loro coda di paglia. Quanto a Hillary Clinton, che vuole dare in beneficenza i contributi elettorali ricevuti dal “mostro’’, dovrebbe prima restituire la fede nuziale a quel “molestatore seriale’’ di suo marito Bill.
Giuliano Cazzola
Al direttore - Il procuratore di Roma ordina prudenza nella decisione di iscrivere gli indagati nell’apposito registro, e va bene. Ma c’è un altro problema di cui non si parla, quello delle ritardate iscrizioni tra gli indagati che le procure tutte usano per guadagnare tempo. Si tratta di un modo di procedere irregolare e lesivo del diritto di difesa, perché nel frattempo si fanno indagini di fatto senza eseguire formalmente gli accertamenti. L’inchiesta del caso Ruby iniziò a maggio del 2010 ma il nome di Silvio Berlusconi venne inserito tra gli indagati solo il 21 dicembre. Per più di sei mesi furono tra l’altro pedinate e intercettate una cinquantina di ragazze che avevano una caratteristica in comune: frequentavano la villa di Arcore. Per le iscrizioni ritardate la norma prevede al massimo un procedimento disciplinare per il pm interessato ma il Csm se ne guarda bene. Non c’è nessuna altra sanzione e soprattutto nessun rischio di nullità degli atti processuali. Se la politica avesse le palle interverrebbe sul punto. Ma pare proprio non sia aria.
Frank Cimini
Al direttore - Caro Cerasa, ho seguito con molto interesse il dibattito che si è sviluppato sul Foglio relativamente agli interventi istituzionali dell’Anac con le diverse opinioni riportate dal suo giornale. Considerato che in più di un’occasione è stato citato il ministero che ho l’onore di dirigere vorrei, se me lo permette, avanzare qualche precisazione che ritengo doverosa. Ovviamente non spetta a me esprimere giudizi sui ruoli dell’Anac così come sono fissati dalle norme di riferimento. Intendo piuttosto chiarire lo spirito con cui il Miur sta affrontando la fattiva collaborazione con l’Autorità in merito al Piano anticorruzione. Primo: il Miur non si è attivato lungo l’onda delle inchieste di Firenze in merito ai concorsi dei tributaristi. Secondo: il Miur non ritiene affatto che l’intervento contenuto nel suddetto Piano né, tanto meno, l’atto d’indirizzo che emanerò a valle della pubblicazione definitiva, sia “emergenziale” o, ancora peggio, un “atto di debolezza” politica. Sui tempi dell’intervento, ricordo che il Miur ha partecipato, fin dal 9 febbraio 2017, al tavolo tecnico istituito presso l’Anac allo scopo di collaborare alla predisposizione di una specifica Sezione, dedicata all’Università, dell’aggiornamento annuale del Piano nazionale Anticorruzione. Al tavolo sono stati presenti, oltre a rappresentanti del Miur, esponenti della comunità accademica (rappresentanti del Cun, della Crui, del Codau e degli studenti). Nelle riunioni finali sono stati ascoltati anche rappresentanti dell’Anvur. Stiamo parlando dunque di un intervento ampiamente condiviso e partito parecchio prima delle inchieste fiorentine. Il tavolo, nell’elaborazione del Documento, si è mosso nell’ambito delle prerogative attribuite dalla legge all’Anac e quindi ha inteso individuare, nel contenitore “Università”, alcuni aspetti suscettibili di rischi corruttivi, intervenendo fondamentalmente lungo due direttrici: da un lato, dando indicazioni direttamente agli Atenei affinché, nell’aggiornamento obbligatorio dei propri Piani anticorruzione, esercitino la loro autonomia regolamentare ed amministrativa nel rispetto delle indicazioni fornite dall’Anac; dall’altro, invitando le competenti Autorità politiche e amministrative nazionali ad adottare gli atti normativi e amministrativi necessari a raggiungere gli obiettivi di prevenzione della corruzione, per i quali si è ritenuto non sufficiente l’intervento diretto dell’Anac. L’approccio, pertanto, rientra pienamente nelle prerogative d’indirizzo delle autonomie che sono in capo al Miur. Non solo. E’ la legge 240/2010 che ha introdotto l’istituto dei codici etici degli Atenei ed è su questi che intendiamo intervenire unicamente per stimolarne l’efficacia e l’incisività. Permettetemi, vista l’autorevolezza degli interlocutori, di approfondire questo aspetto. Il Documento anticorruzione oggetto di consultazione pubblica richiama una delle specifiche funzioni che l’ordinamento attribuisce al ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, ovvero la funzione di indirizzo e coordinamento delle Università, prevista dalla legge n. 168 del 1989 (art. 1, comma 2), che è stata la prima legge che storicamente ha attuato il principio costituzionale dell’autonomia universitaria (art. 33, ultimo comma, Cost.), provvedendo a definirne i contenuti. Il riferimento è, in particolare, ad atti di indirizzo del Miur in materia di bandi e di assegnazione di fondi per la ricerca, nonché in materia di definizione delle clausole generali contenute nelle norme di legge sulle incompatibilità dei docenti universitari. La funzione in esame è assolutamente rispettosa dell’autonomia universitaria e si ritiene che ben possa essere esercitata allo scopo di intervenire, in collaborazione con l’Anac, in funzione di prevenzione dei fenomeni di corruzione che possono impedire la concreta realizzazione del principio meritocratico e di quello di buon andamento della Pubblica amministrazione. Contemporaneamente, peraltro, è stata avviata una riflessione sugli interventi che il ministero dovrà proporre al governo e al Parlamento laddove è necessario intervenire con atti di rango normativo. L’approccio “integrato” dell’anticorruzione evidenzia l’esigenza che, in alcuni casi, anche alcuni meccanismi previsti da leggi debbano essere ripensati, allo scopo di correggere alcune distorsioni cui gli stessi possono dar luogo. Insomma, caro Direttore, non credo che si possa dire che, mentre l’Anac sconfinerebbe dalle sue competenze a detrimento dell’autonomia universitaria, il Miur starebbe “a guardare”. In realtà, l’Autorità e il ministero, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, stanno da mesi collaborando per individuare misure anti corruttive che siano (non solo compatibili, ma anche) rispettose dell’autonomia, costituzionalmente garantita, degli Atenei.
Valeria Fedeli, ministro dell’Istruzione
Gentile ministro, grazie della sua lettera ma continuo a pensare che abbia ragione il professor Sabino Cassese quando dice che, su questa vicenda, l’Anac ha sconfinato ed “è stata colpevole di un eccesso di potere anche per la debolezza del ministero dell’Istruzione, della ricerca e dell’università e della Conferenza dei rettori, che finiscono per preferire di delegare i compiti di moralizzatore e regolatore all’Anac”. La trasformazione dell’Anac in un garante della moralità non nasce per caso ma nasce perché qualcuno l’ha voluta, l’ha richiesta, l’ha accettata. E temo che in questo triangolo il suo ministero, gentile ministro, ha qualche responsabilità. Un cordiale saluto.