Agcom e giornalisti: l'ipocrisia delle opinioni neutrali. Una Carfagna fogliante
Al direttore - Vieni avanti, scontrino.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Semel in anno anche Susanna Camusso c’azzecca: endorsement per Giorgio Gori e Nicola Zingaretti (insieme a ventuno dirigenti Cgil).
Michele Magno
Al direttore - Ho letto del regolamento dell’Agcom sulla par condicio che dovrà essere applicata anche ai giornalisti-ospiti nelle tv private. Mi sembra una boiata, il Foglio che ne pensa?
Marco Martini
Mi sembra una boiata ma per le ragioni opposte a quelle suggerite da diversi colleghi. Ogni cittadino deve essere libero di non dire per chi vota. Ma ogni giornalista avrebbe il dovere di non prendere in giro chi lo legge o chi lo ascolta fingendosi fintamente obiettivo. Ogni giornalista ha un pensiero, un suo modo di inquadrare la realtà, e l’unico modo per raccontare la “verità” ai propri lettori o ai propri ascoltatori è dire da che parte si sta. Sostenere che non si possa essere obbligati a dire come la si pensa è corretto. Sostenere invece che dire come la si pensa è un modo di tradire il proprio ruolo è una stupidaggine. Ognuno di noi ha una macchina fotografica in mano. Ognuno di noi sceglie un’inquadratura. Negarlo non vuol dire essere obiettivi, vuol dire essere paraguru.
Al direttore - Sono d’accordo con la proposta fogliante, una delle poche sentite finora che guardano dritte negli occhi il futuro, piuttosto che strizzarne uno (solo) agli elettori. Il nostro welfare è completo e costoso, ma fermo a esigenze di un’Italia che non c’è più. Da anni il nostro paese macina record negativi di natalità, nel 2016 sono nati 12.300 bambini in meno rispetto al 2015. Questo accade per molte e diverse ragioni, ma c’entrano la difficoltà che oggi le donne hanno a conciliare lavoro e famiglia, la carenza cronica di strutture per l’infanzia e, nondimeno, i loro costi. Queste sono cose che sapete già, ed ecco perché, invece, desidero aggiungere un elemento in più a supporto della vostra tesi (che, se me lo consentirete, proverò a fare mia nel prossimo Parlamento): riuscire a mandare più bambini all’asilo aumentando la disponibilità di posti e abbattendone le tariffe è un investimento. Proprio così. I soldi che verranno spesi a tale scopo – e non, per esempio, finanziando i figli dei “ricchi” che frequentano l’università e i fuoricorso come propone Leu – possono trasformarsi in punti di pil. Non lo dico io, ma uno studio di Bankitalia: dimostra che c’è un legame tra il numero dei posti negli asili e l’occupazione femminile, che per ogni 100 mila donne che tornano al lavoro il pil sale dello 0,28 per cento. Sembra poco? Direi di no. Bisogna invertire la prospettiva, però: nel 2016 25.000 donne si sono licenziate per la difficoltà di conciliare lavoro e maternità. In Italia solo 13 bambini su 100 trovano posto negli asili pubblici e al sud (ulteriormente penalizzato dagli ultimi criteri di riparto) la percentuale cala a 3 su 100. Consideriamo tutti insieme questo tema una priorità del paese? Noi ci stiamo. E anzi rilanciamo: pensate cosa sarebbe accaduto se, invece di spendere un miliardo e mezzo di euro in bonus bebè, si fosse investita quella cifra per aumentare i posti negli asili ed abbatterne i costi… Ma lasciamo fuori gli asili dalla campagna elettorale, guardiamo avanti. Tra due mesi, chiunque sarà al governo, avrà molto da fare: per fortuna potrà contare sui conticini che avete già fatto voi. Buon lavoro.
Mara Carfagna
Al direttore - Caro Cerasa, la confusione mentale di Di Maio, il comportamento di Berlusconi che afferma al mattino ciò che smentisce il pomeriggio, lo “stalinismo” di Salvini e le mirabolanti promesse di tutti quanti, mi portano a credere che un partito della ragione, alla fine, darà segni di vita e, forse, otterrà più consensi di quanto si pensi. Maroni può anche far parte del partito della ragione, ma ribadisco di preferire uomini politici a cui non è necessario chiedere chi sceglierebbero tra Macron e Le Pen in quanto la risposta sarebbe scontata.
Lorenzo Lodigiani