Grillo apparecchia la tavola per il 5 marzo per poter dire: "Di Maio chi?"

Al direttore - Insomma per Gentiloni hanno aggiornato la nota domanda: tra Berlusconi e Salvini chi voterebbe?

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Non sono convinto che questo nuovo rapporto  fra Berlusconi, Merkel e Juncker porti bene al popolo di centrodestra in generale. Ci sono troppe riserve sulla politica dell’Ue e niente fa pensare che questa sia in via di cambiamento nei nostri confronti. Si ripete la storia del pre-referendum, con tutti gli endorsement a favore del governo di allora, col parlarne bene, col dire che si migliora nell’economia? Finché ci saranno nel nostro paese migliaia e migliaia di giovani che emigrano all’estero perché qui non trovano lavoro, e ci saranno anziani che se ne vanno anch’essi all’estero perché si vive meglio, non si parli di ripresa e di grandi meriti del governo.

Pietro Ferretti

 

Al direttore - Beppe Grillo. Una mente bizzarra, inquieta, incuriosisce e attrae. I suoi impulsi sono prevalentemente dettatati dall’inconscio. Quel calderone in cui bollono attitudini e desideri, velleità e sogni che sono la base del nostro “come dovrebbe essere”. E’ il motore di ogni azione “politica”. Il principio di realtà resta fuori. Razionalizzarli, dargli un senso, è gioco senza soluzioni. Perché nel farlo anche noi attingiamo al nostro calderone. E, ciascuno ha il suo. Vitae, pulchritudo maxima.

Moreno Lupi

 

Non so lei ma ho come l’impressione che Grillo, insieme con Dibba, si stia preparando ad arrivare al 5 marzo nella posizione di chi potrà dire: scusate, Di Maio chi?

 

Al direttore - Il dott. Guido Salvini sul Foglio di martedì scorso prende le difese del magistrato del Tar di Bologna salito agli onori delle cronache per la censura della praticante con il velo. A suo dire il suo collega avrebbe semplicemente applicato la legge, cioè l’art. 129 del codice di procedura civile che impone, fra l’altro, di assistere alle udienze in silenzio e a capo scoperto. Egli poi suggerisce di guardare alla questione dal punto di vista delle persone in presenza delle quali si indossa il velo, che potrebbero percepire “un significato vagamente offensivo”. Questa seconda notazione sposta la discussione su un piano molto soggettivo e personale che non dovrebbe entrare in gioco quando si svolgono pubbliche funzioni e in particolare si esercita la giurisdizione. Sul punto formale il dott. Salvini dovrebbe sapere, in primo luogo, che su quella disposizione il Csm si è già espresso nel 2012 fornendo una lettura favorevole all’uso del velo in udienza, fondata sul richiamo all’art.19 della Costituzione. Inoltre, che il processo amministrativo ha un regime proprio che non fa cenno all’abbigliamento di chi assiste all’udienza. L’episodio bolognese è stato grave anche perché denota il mancato rispetto dell’autonomia e del ruolo degli avvocati, i quali non “assistono” ai processi ma concorrono al loro svolgimento. Per qualsiasi eventuale mancanza comportamentale, rilevante sul piano deontologico, rispondono all’Ordine professionale. Quindi il magistrato se rileva qualche mancanza (a maggior ragione di un praticante in formazione) non può certo infliggergli una censura diretta e coram populo. Sono paletti fondamentali e consolidati che fortunatamente nelle aule della giustizia amministrativa, forse più che in altre, vengono tradizionalmente rispettati: bene ha fatto quindi il Consiglio di stato ad attivarsi per verificare i presupposti di un’azione disciplinare, dimostrando, anche in questa occasione, che esistono almeno, in questo settore della giurisdizione, gli anticorpi per contrastare e isolare chi si sente al di sopra delle regole e non è in grado di rapportarsi con serena correttezza ed equilibrio con gli altri operatori di giustizia.

Umberto Fantigrossi

Presidente dell’Unione nazionale
avvocati amministrativisti

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