Il paese vince senza coccole agli antisistema. Lezioni dal Vinitaly

Al direttore - Dopo l’ultimo ciclo di consultazioni al Quirinale, è sempre più chiaro che il Cav. ha deciso di dedicare l’ultima fase della sua parabola politica ad arginare la deriva populista del centrodestra a trazione salviniana. Viva la diga!

Carlo Stagnaro

   


  

Al direttore - Come ha scritto il Foglio (Cerasa 14/4), tra Mattarella e Berlusconi si è instaurata una sintonia d’intenti e d’azione durante il secondo ciclo di consultazioni per la formazione del governo. Sintonia – aggiungo – che sembra abbia un che di nemesi storica, di riparazione per errori politici gravi commessi in precedenza. Non mi riferisco all’attuale capo dello stato, quanto piuttosto a Berlusconi che, nel gennaio 2015, si oppose all’elezione di Mattarella alla presidenza della Repubblica, innescando così la fine del patto del Nazareno tra FI e Pd. Le conseguenze traumatiche di quella rottura, tuttora perduranti per certi aspetti, tra le due principali forze europeiste e di sistema, sono state la sconfitta dei riformisti al referendum costituzionale del dicembre 2016 e l’esito anti-sistema del voto politico del 4 marzo scorso. Non giriamoci troppo intorno: questa è stata la dinamica essenziale degli eventi, quanto meno sul piano politico. Riconoscere tutto questo è buono e giusto, certamente, ma non basta. La questione è tale che deve essere affrontata con la consapevolezza che un polo riformista ed europeista, alternativo al binomio populista Di Maio-Salvini, può essere ricostruito solo partendo dal presupposto che una nuova divisione, oltre quella classica destra versus sinistra, s’è venuta affermando tra le forze politiche italiane a partire dalla Grande recessione del 2007-2008, passando per i governi dal 2008 al Monti del 2011, e consolidatasi, per l’appunto, durante la genesi, l’affermazione e la caduta del patto del Nazareno: ovverosia la discriminante europeismo-apertura-globalismo versus sovranismo-chiusura-protezionismo. Il patto del Nazareno fu dunque, allo stesso tempo, un effetto della nuova discriminante storico-politica testé schematicamente descritta e la causa attiva e positiva di un processo di riforma e d’adeguamento della politica e delle istituzioni italiane alla realtà europea e mondiale in trasformazione. Solo con il richiamo a un tale quadro di complessità storica, sia il rifiuto che nel 2015 Berlusconi espresse nei riguardi di Mattarella presidente, sia oggi la loro sostanziale sintonia possono esserci di insegnamento e di sprone dinnanzi ai compiti, ardui e urgenti, che attendono i riformisti moderati sul terreno della sperimentazione e riaggregazione di un polo europeista e globalista alternativo al populismo nazionalistico. E tutto questo entro e oltre il problema di avere un nuovo governo.

Alberto Bianchi

  


  

Al direttore - Che del destino politico del tuo paese si discuta alla fiera del vino, ironie a parte, ci può stare. Certo, non ha lo stesso fascino, per dire, di un Congresso di Vienna o del trattato di Campoformio (se poi, come temo, qualche stellare protagonista della discussione è convinto che il Risorgimento è un esortativo dopo barba…).

Valerio Gironi

   

Al di là della fase politica – il vino, come ha scritto ieri Camillo Langone, andrebbe salvato dalla politica – la politica dovrebbe ricordare alcuni dati sul vino che spesso non ricorda. Trent’anni dopo il dramma e la truffa del metanolo l’Italia produce il 45 per cento di vino in meno rispetto a quel periodo ma ha più che raddoppiato il valore dei suoi prodotti, passando da 4,2 a 9,4 miliardi di euro, moltiplicato per sei le esportazioni e arrivando a sorpassare la Francia persino sulla produzione (ettolitri vendemmiati lo scorso anno: Italia 40 milioni, Spagna 38, Francia 37). Tutto questo che significato ha? Ne può avere due. Primo: un paese che funziona è quello in cui quando c’è un problema non si cerca un capro espiatorio ma si cercano delle soluzioni. Secondo: un paese che funziona è quello che comprende che la globalizzazione non è un terribile rischio da cui fuggire ma una gigantesca opportunità da sfruttare. Si vince se si scommette sul sapere fare sistema non se si scommette solo sul saper essere anti sistema. Facile, no?

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