Giocare con i privilegi dei parlamentari significa farlo con la democrazia
Al direttore - Al di là dei pregiudizi di carattere biologico, la principale funzione del razzismo, in tutte le varianti, è sempre stata quella di giustificare qualche forma di discriminazione od oppressione. Ecco perché, a ottant’anni di distanza dalle leggi per la difesa della razza, la Camera si accinge a ricordare quell’evento vergognoso, interpretandone e promuovendone il medesimo filone (sub)culturale con l’abolizione dei vitalizi. Come le leggi del 1938 perseguitarono i cittadini di religione ebraica per il solo fatto di essere tali, il provvedimento che assumerà, con efficacia retroattiva, l’Ufficio di presidenza della Camera (inventandosi criteri, acrobazie giuridiche e quant’altro) a proposito dei vitalizi, colpirà degli ormai anziani signori e signore per il solo fatto di aver rappresentato la nazione in un periodo della loro vita. E nessuno si tirerà indietro per compiacere a un’opinione pubblica plebea e sobillata dalla menzogna e dall’invidia sociale.
Giuliano Cazzola
Una politica che si concentra esclusivamente sull’abolizione dei vitalizi – o, se vogliamo dirla meglio, la politica che fa della riduzione progressiva dei privilegi dei parlamentari il suo più importante collante culturale – è una politica che si sposa perfettamente con l’idea di democrazia sostenuta dai nuovi capitribù del populismo. La democrazia diretta, in fondo, altro non è che il tentativo di abolire la rappresentanza e di trasformare ogni rappresentante in un portavoce del popolo. Dietro all’idea romantica dell’uno vale uno si nasconde però un’idea totalitaria: la democrazia diretta serve a uccidere i corpi intermedi non per crearne di nuovi ma per mettere la democrazia nelle mani di pochi giocando con l’illusione di metterla nelle mani di tutti. Il grillismo in fondo ce lo ricorda ogni giorno: la democrazia diretta si chiama così perché è diretta da qualcuno. E giocare con i privilegi dei parlamentari, in un certo senso, significa giocare con la nostra democrazia rappresentativa.
Al direttore - A proposito delle banche tedesche, oltre alle Landesbanken che sono fuori dall’orbita della Vigilanza unica, di cui giustamente si scrive in un articolo di Brambilla sul Foglio del 17 aprile, vi è la questione degli strumenti finanziari di livello 2 e di livello 3 contabilizzati nei bilanci degli istituti tedeschi – e in quelli francesi e spagnoli – sui quali non si riscontra un attivismo della suddetta Vigilanza simile a quello sui prestiti deteriorati. L’argomento è così importante che il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha avvertito l’esigenza di affrontarlo nella sua “lectio magistralis” tenuta lunedì scorso all’Università di Tor Vergata, affermando che si tratta di strumenti illiquidi e caratterizzati da opacità e complessità, la cui incidenza nei bilanci degli istituti comunitari è molto elevata. Visco poi significativamente ha aggiunto che un dibattito serio sulla riduzione dei rischi, a livello europeo, non può prescindere da questa questione. Anziché costruire “giochi di guerra” facendo simulare a Deutsche Bank quel che accadrebbe se dovesse decidere una chiusura improvvisa dell’investment banking, tagliando una parte rilevante del “trading”, la Vigilanza farebbe bene a compiere ispezioni sui predetti strumenti, nel sistema, dello stesso rigore adottato per accertamenti sui crediti deteriorati e a emanare conseguenti istruzioni altrettanto rigorose, a tali operazioni essendo strettamente connesso un rischio sistemico. Se ciò non accade, rimaniamo ancora al famoso detto del Marchese del Grillo che, in questo caso, è impersonato dalla Germania e dalla Vigilanza unica. Ma se non lo fa quest’ultima, non è il caso che finalmente agisca il Consiglio direttivo della Bce che su tutte le decisioni della Vigilanza ha il potere di obiettare (e, dunque, di indirizzare)? Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia