Minopoli e Bordin: si può essere all'opposizione senza una maggioranza?
Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 25 aprile 2018
Al direttore - Arriviamo, arriviamo.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Ascolto sempre con devota attenzione la rassegna stampa del “nostro” Bordin (nel senso di prezioso corsivista del Foglio). Ma ieri mattina mi ha gelato. In un piccato commento ha fornito argomenti (sorprendenti) alla tesi secondo cui “i governi non li fa il presidente (e questo è corretto) né i cittadini con il loro voto (e questo è meno corretto). Ma li fa il Parlamento”. E questo per polemizzare, credo di aver capito, con quei settori renziani del Pd che escludono (anche in nome della “logica di rispetto” del voto del 4 marzo) una trattativa, per il governo, con i 5 stelle. Ora, a me sembra, i rilievi di Bordin siano fondati, dal lato della giurisdizione vigente, ma discutibili, emendabili ed esecrabili dal lato della correttezza sostanziale (e non formale) della logica di una democrazia parlamentare. Il sistema proporzionale, direi con il giudizio che Einstein applicava alla fisica quantistica, ha un limite ineludibile: è incompleto. La logica di una democrazia parlamentare vorrebbe che i cittadini non eleggano, soltanto, un’assemblea di delegati a rappresentarli ma esprimano un mandato preciso a governarli. Il Parlamento dovrebbe, secondo tale logica competitiva tra i partiti (e le coalizioni), tradurre in governo il risultato del voto. Insomma se è vero che i governi “non li fa il presidente”, non è altrettanto vero che “non li fanno i cittadini”. In modo mediato, ovviamente. Da sempre è questo il motivo della discussione eterna tra sostenitori del sistema elettorale proporzionale rispetto a quello maggioritario. Ora Bordin, credo, appartenga a una scuola di pensiero che ha avuto, nel nostro paese, il merito di una battaglia lunga, coerente e ricca di meriti per l’affermazione (oltre che della centralità del Parlamento) anche del sistema maggioritario, persino nella sua forma più pura, il bipartitismo anglosassone. E, inoltre, di ogni forma politica che esaltasse gli spazi decisionali degli elettori rispetto ai delegati parlamentari (i referendum). Un ipotetico governo parlamentare 5 stelle/Pd è ovvio che non sia illegittimo. Ma sarebbe il frutto di una logica, certamente, anomala: quella del sistema proporzionale che annulla ogni spazio all’espressione della volontà popolare in termini di formazione dei governi. E si presta a riserve circa il grado di corrispondenza tra indicazioni degli elettori e decisioni del Parlamento. Tenendo fuori dal governo la coalizione risultata prima alle elezioni. Capisco che data la legge elettorale attuale e la Costituzione non è possibile rimuovere tale anomalia. E che non si può, a rigore, definirla illegittima. Ma l’anomalia c’è. Questa scelta non sarebbe l’optimum dal lato della correttezza sostanziale e del rispetto della volontà popolare. Qui un limite c’è: è il limite sistemico in cui il No alle riforme di Renzi ci ha ributtato, dopo 40 anni di critiche al proporzionalismo. Almeno lo si dica. Mi aspettavo dall’amico Bordin una difesa meno piccata della logica del proporzionale: un obiettivo polemico storico dei Radicali. E su cui loro hanno avuto ragione e molti altri del sistema dei partiti no.
Umberto Minopoli
Io penso, caro Umberto, che il grande Bordin volesse dire una cosa più semplice che condivido: ma se non si sa ancora qual è la maggioranza di governo, come si fa a dire noi stiamo all’opposizione? Rivendicare la necessità di dare a chi ha vinto le elezioni il diritto di formare un governo è giusto e sacrosanto. Rivendicare la necessità di essere all’opposizione dei partiti della chiusura è altrettanto importante. Ma dire, genericamente, “noi staremo all’opposizione” non funziona se non si spiega prima, e bene, all’opposizione di cosa. E infine. E’ giusto dire che gli elettori hanno premiato qualcuno e punito qualcun altro. Ma credo che sia poco logico dire, come fa qualcuno, che gli elettori hanno spedito un partito all’opposizione. Altrimenti, a rigor di logica, potremmo dire che il 67 per cento degli italiani ha chiesto al Movimento 5 stelle di non andare al governo. Viva Bordin, viva Minopoli.
Al direttore - Un editorialino del Foglio del 24 aprile loda l’intervento della Commissione Ue con l’apertura di un’indagine per valutare se sia stato violato il divieto di aiuti di stato, con il prestito-ponte, accordato dallo stato ad Alitalia, “una compagnia che altrimenti farebbe fatica a stare sul mercato”: cosa che è evidente, trattandosi di un’impresa in amministrazione straordinaria. Vi è da dire, però, che nel caso non è in ballo il finanziamento in quanto tale, bensì sono oggetto di indagine la durata del prestito (che per la natura di “ponte” dovrebbe estendersi, al massimo, a sei mesi), i tassi di interesse praticati, l’effettività e i tempi del rimborso. Vedremo, anche perché sarebbe clamoroso se il governo non avesse messo in conto una tale contestazione e preparato le proprie controdeduzioni. Forse, dovremmo, tuttavia, avere un minore entusiasmo per tali interventi, al di là di questo specifico caso, perché la Commissione Ue – e in specie la direzione “Competition” – è anche quella che vede dovunque aiuti di stato quando riguardino l’Italia, fino a considerarli ricorrenti pure nel caso di interventi in banche in difficoltà da parte del Fondo di tutela dei depositi bancari che è alimentato solo da risorse private, quelle delle banche: non dovrebbe essere il fatto che sia stato istituito per legge per trasformare, con una bacchetta magica, tali apporti in risorse pubbliche. Su tale questione si attende, comunque, la pronuncia della Corte di giustizia europea adita dal governo italiano. Altro peso e altra misura sono stati adottati, invece, in Germania dove si è consentita la ricapitalizzazione almeno di una banca con fondi pubblici senza proferire verbo da parte di Bruxelles e sulla base di arzigogoli che farebbero impallidire il manzoniano Azzeccagarbugli. Tutto ciò per dire che la materia degli aiuti di stato e del relativo divieto deve essere adeguatamente rivista e sistematizzata per evitare irragionevoli differenziazioni o oggettivi favoritismi, accentuando anche la trasparenza dei procedimenti e la rigorosa “accountability”.
Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia