Giorgia Meloni (foto LaPresse)

Il forno che manca . Giorgia Meloni su Alfie e il dovere di morire

Le lettere al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Dopo aver descritto nei “Teatri di Napoli” la concorrenza che nel Seicento si facevano ciarlatani e gesuiti per intrattenere la plebe, Benedetto Croce – citando un episodio riferito dal vescovo protestante Burnet – aggiunge: “Anzi una tradizione vuole che fu proprio al Largo di Castello che quel tale predicatore, abbandonato dai suoi uditori per un Pulcinella, esclamò, mostrando il crocefisso, le famose parole: Qui, qui, ché questo è il vero Pulcinella”. Beninteso, al Largo del Nazareno non ci sono né ciarlatani né predicatori, ma solo serissimi dirigenti politici. A pensarci bene, tuttavia, il rischio che nella Direzione del 3 maggio possano calcare la stessa scena immortalata nell’aneddoto del grande filosofo è forte. Una scena, cioè, in cui la ricerca di impossibili complicità col M5s si consuma nel gelo di una irriducibile contrapposizione tra favorevoli e contrari. In ogni caso, credo che la giravolta dei “trattativisti” nei confronti di un partito-azienda (anzi, di una azienda-partito) confermerà un’antica verità, ovvero che al tempo del Carnevale – della festa in cui ogni follia è lecita – segue sempre il tempo dell’espiazione e della catarsi: quello della Quaresima. Non escludo che per loro la settimana santa possa iniziare già lunedì prossimo, dopo il voto in Friuli-Venezia Giulia, con la riapertura del forno leghista.

Michele Magno

 

La partita è ancora molto lunga ma la questione da porsi è: tra tutti i forni di cui si parla ne manca uno di cui non si parla mai. Se è giusto prendere in considerazione i forni non naturali, bisogna metterli a fuoco tutti. E uno, se ci fate caso, manca sempre. Ne parliamo lunedì.

 

Al direttore - Dicono che un importante editore italiano, il più importante,  per giustificare il suo appoggio ai grillini abbia detto: “Loro sono come la plastilina. Li modelli come vuoi”. Ecco, per trattare con i 5 stelle bisognerebbe sapere prima di tutto cosa sono e cosa vogliono. Un po’ di tutto e un po’ il contrario di tutto. O, in alternativa, occorrerebbe presentarsi con una forma ben definita e vedere fino a dove la plastilina è modellabile. Ma mi pare che nel Pd qualcuno invece pensi che aderendo alle forme che la plastilina 5 stelle assume di volta in volta si trovi la quadra. Ma due plastiline non fanno una forma, ma solo una sconnessa marmellatina. Difficile poi da rimettere nel barattolo. 

Chicco Testa 

 

Al direttore - Gentile Giulio Meotti, ho letto il suo interessante e informatissimo articolo sulla diaspora della kippah in Europa. Ho apprezzato l’indignazione per un altro simbolo delle fede ebraica messo a dura prova. Al tempo stesso però volevo farle notare che l’uso della kippah è spesso funzionale a certi cialtroni che la ostentano da mane a sera artatamente non per testimoniare una civiltà e una religione, ma per sottolineare la propria condizione di minoranza e acquisire benevolenze e relative commesse. Le dice niente quella kippah perennemente calata sulla testa di Moni Ovadia, attore e regista e che ha trovato nella Sicilia del sottogoverno più spudorato la sua Mecca e il suo Eldorado? Grazie.

Evaristo De Livio

 

Al direttore - “Sono spesso le piccole mani ad agire per necessità mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove”. Prendo in prestito queste parole di J. R. R. Tolkien per parlare di Alfie Evans. Perché sono state quelle sue manine, immortalate dai suoi genitori Thomas e Kate, a muovere il mondo. Sono state quelle manine a risvegliare le coscienze, a scuotere i cuori di milioni di persone, a richiamare l’attenzione dei grandi sulla necessità di difendere senza se e senza ma la sacralità della vita. Un valore che, in questo tempo, è costantemente minacciato e messo in discussione ma che per me sarà sempre non negoziabile. E l’Italia, in questa drammatica vicenda, ha avuto il coraggio di uscire fuori dal coro per ricordare all’Europa che tra i princìpi su cui si fonda ci sono: la centralità della persona, la difesa della vita e la libertà di scelta. La decisione del governo italiano di concedere la cittadinanza italiana al piccolo Alfie e di combattere a livello diplomatico per dare una speranza a questo bimbo ci rende fieri di essere italiani. L’Italia ha dimostrato di essere un faro di civiltà nel grigiore del pensiero unico dominante e nel buio del relativismo nichilista, che vuole annientare la nostra cultura e la nostra civiltà. Mentre il Regno Unito ha scelto la cultura dello “scarto” e l’Europa si è trincerata in un silenzio complice e vigliacco, quando invece non si risparmia se si tratta di difendere gli interessi delle banche e dei burocrati, l’Italia non si è girata dall’altra parte ed è scesa in campo. E ringrazio ancora una volta i ministri Alfano e Minniti per aver accolto il mio appello e aver dato una speranza ad Alfie. La sua storia ci pone davanti a una domanda alla quale nessuno pare in grado di dare una risposta: perché, seguendo i ragionamenti del pensiero unico dominante, la volontà di un genitore che vuole staccare la spina a suo figlio debba prevalere sul parere dei medici (come fu ad esempio per il caso di Eluana Englaro) mentre se un genitore quella spina non la vuole staccare scegliendo la vita la decisione dei medici debba diventare preminente? La sensazione è che in quella che ci ostiniamo a chiamare civiltà l’unica volontà sempre garantita sia quella di chi vuole la morte. Ma noi non ci arrendiamo e oggi, più che mai, possiamo sentirci orgogliosi di essere italiani. Orgogliosi di difendere il diritto alla vita, non il diritto alla morte. Orgogliosi di essere dalla parte del più debole, non di una scienza cieca e di una ideologia disumana. Orgogliosi di avere come connazionale un bambino che, con le sue manine e la sua fragilità, sta insegnando ai grandi del mondo cosa davvero conta in questo mondo.

Giorgia Meloni

 

Passare dal diritto di morire al dovere di morire è un dramma nel dramma. Grazie della bella lettera.

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