Casaleggio e l'altro uno vale uno. Arbitri: una lettera da conservare
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Nun te reggaente più.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Ho letto con piacere il suo articolo di qualche giorno fa nel quale, con rispetto, ha richiamato l’attenzione sulla figura degli arbitri di calcio. Faccio parte di questa categoria da quando avevo 15 anni (ora ne ho 20 ) e ho dovuto nel corso della mia carriera fare i conti con molteplici soggetti che, senza mai sfiorarmi, hanno riversato su di me la loro collera, il loro odio, la loro mancanza di educazione. Ho sentito insulti indicibili, verso di me o verso la mia famiglia, verso mia madre che non c’è più, verso tutti noi, giovani ragazzi che dietro le quinte del calcio di questo paese ogni domenica si sporcano la divisa per seguire una passione. Siamo ragazzi e ragazze come tutti che in quei 90 minuti rappresento la correttezza e le regole da applicare ad uno sport che di regole ne ha tante, tantissime. In molti non capiscono che tutta questa attenzione, negativa, che subiscono i nostri colleghi di serie A, la domenica si riversa su di noi. Questo perché un padre (o una madre) che la domenica accompagna il figlio alla partita pensa di avere a che fare con Rocchi, Orsato, Rizzoli, ma invece trova dei semplici Federico, Giovanni, Martina, che stanno semplicemente passando una domenica dall’altra parte del pallone, quella col fischietto. La prossima volta quando andrete allo stadio comunale a vedere la partita di vostro figlio-fratello-nipote, pensate che ad arbitrare ci sia un ragazzo della stessa età di vostro figlio-fratello-nipote o anche più piccolo, e che se sbaglia, non lo fa perché tifa Roma, Juve o Inter, ma perché deve avere il diritto di sbagliare. Se decideste di pubblicare questa lettera, la prego di non inserire il mio nome. Non posso essendo arbitro, parlare di queste tematiche sui giornali.
Edoardo
Solo quando tutti impareremo a considerare un errore dell’arbitro solo un errore umano, e non un errore fatto contro qualcuno, riusciremo a fare un passo in avanti nella lotta contro il complottismo cialtrone. Grazie Edoardo. Viva gli arbitri.
Al direttore - Qualcuno dovrebbe spiegare a Di Maio che in politica l’Abc non significa aranciata, birra, coca (cola)… come ai tempi del San Paolo di Napoli.
Valerio Gironi
Diabolico. Per capire però quale sarà il destino di Di Maio più che studiare l’Abc della democrazia rappresentativa dovremmo studiare l’Abc della democrazia diretta. Il Movimento 5 stelle sostiene da sempre la teoria farlocca dell’uno vale uno. E se per la Casaleggio Associati l’uno vale uno fosse un modo per dire non che ogni eletto è uguale al suo elettore ma che un candidato premier vale come l’altro? Dibba o Di Maio: uno vale uno?
Al direttore - Qui a Londra l’Italia è diventata un “benchmark” internazionale di politica comparata. L’Economist ha scritto che oggi “la politica britannica è un gioco disfunzionale, giocato dall’equivalente inglese della ‘casta italiana’”. Si riferisce allo scandalo che la scorsa domenica ha portato la ministra dell’Interno, Amber Rudd, a dimettersi. Lo scoop-casus-belli l’ha fatto la giornalista del Guardian Amelia Gentleman, che è sposata con Jo Johnson, ministro dei Trasporti, che è fratello di Boris Johnson, ministro degli Esteri e rivale della Rudd come futuro premier. Con le dimissioni della Rudd il fronte pro Remain interno al Partito conservatore perde un caporale di rango. Purtroppo o per fortuna però c’è suo fratello, Roland Rudd, milionario fondatore dell’agenzia di Pr “Finsbury”, che continuerà a finanziare la causa europeista. Il sistema costituzionale inglese non permette l’ascesa di movimenti anticasta come i Cinque stelle, per cui gli eccessi di familismo prima o poi vengono a galla e si regolano da soli, in un “bagno di sangue interno”. Le dinamiche di Westminster ci ricordano che le regole del gioco contano: come propone il Foglio, bisogna ripartire dal 4 dicembre 2016 per fondare le istituzioni che servono al paese, per purgarci dei peggiori vizi italici e debellare una volta per tutte il “virus sfascista”.
Tommaso Alberini