Leggere Burke per capire l'oscenità di chi combatte la democrazia rappresentativa

Al direttore - Ho inviato a Luigi Di Maio e Matteo Salvini questa lettera: “Certamente, Signori, dev’essere gloria e felicità di ogni rappresentante vivere in stretta comunione e in corrispondenza con quanti lo hanno eletto. Le loro aspirazioni devono avere per lui la massima importanza ed essere degne del massimo rispetto… Ma la sua imparziale opinione, il suo maturo giudizio, la sua illuminata coscienza: quelli non li dovrà mai sacrificare a voi o a qualunque raggruppamento di esseri umani”. In un poscritto preciso al segretario della Lega e al capo politico del M5s che è il passo centrale del discorso di Edmund Burke agli elettori di Bristol (1774), il quale segna l’atto di nascita del divieto di mandato imperativo nella democrazia parlamentare.

Michele Magno

  

Vale la pena pubblicare anche un passaggio ulteriore, di quel discorso eccezionale. “Il Parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell’intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale”. Interesse generale. E poi, un giorno, come ha scritto ieri magnificamente Mattia Feltri sulla Stampa, ci accorgeremo che i voltagabbana, anche se sono troppi, come succede da noi, vivono nelle democrazie e muoiono nelle tirannie.


  

Al direttore - Fruttero e Lucentini furono profeti quando già negli anni 80 uscì “La prevalenza del cretino”. Queste ultime elezioni ne sono la prova lampante.

Paolo Torino


  

Al direttore - Quando Mattarella ha letto (di nascosto) che “il contratto” prevede anche l’abolizione del Cnel gli si è allargato sul viso un perfido sorriso.

Valerio Gironi

  

Io non so cosa farà Mattarella di fronte a un contratto che in alcuni passaggi mette in discussione la nostra idea di democrazia, oltre alla collocazione internazionale del nostro paese. Capiremo presto se, quando i leghisti e i grillini dicono che “per quanto riguarda le politiche sul deficit si prevede, attraverso la ridiscussione dei trattati dell’Ue e del quadro normativo principale a livello europeo, una programmazione pluriennale volta ad assicurare il finanziamento delle proposte oggetto del presente contratto attraverso il recupero di risorse derivanti dal taglio agli sprechi, la gestione del debito e un appropriato e limitato ricorso al deficit”, intendono anche ridiscutere l’euro e capiremo presto se all’Italia spetterà un destino argentino (i mini Bot sono come i patacones argentini che vennero introdotti poco prima del default del 2001). Ma su questo passaggio, purtroppo, c’è davvero poco da discutere: “Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo”. E un contratto del genere, con questo punto, non può per nessuna ragione essere accettato dal presidente della repubblica. E’ già una pagliacciata che una democrazia in cui gli elettori delegano il Parlamento a prendere decisioni debba essere ostaggio di una buffonata come le votazioni su Rousseau e i gazebo della Lega. E’ già una buffonata dover aspettare che chi è stato eletto per rappresentare il paese debba fingere di chiedere il permesso per giustificare le proprie scelte. La Repubblica dei clown non promette bene. Speriamo ci sia qualcuno, dall’alto, pronto a interrompere uno spettacolo che più che comico promette di essere tragico.


  

Al direttore - Se i Cinque stelle e la Lega pensano, tra l’altro, di modificare i trattati dell’Unione, essi non possono non sapere che a tal fine è necessaria l’unanimità dei partner, tuttavia assai difficilmente conseguibile, per di più in un lasso di tempo non lunghissimo. Poiché è da presumere che essi conoscano bene questa enorme difficoltà, allora è da ritenere che, se non si tratta di una mera dichiarazione propagandistica ma con effetti boomerang, essi pensino a denunce unilaterali. Ma con quale obiettivo finale? Il fatto è che questo tipo di impostazioni rinvenibile in diversi altri punti del “contratto per il governo”, rischia, di questo passo, di rendere difficili innovazioni e modifiche che, ragionevoli e realistiche, pur sarebbero introducibili in altri campi, stante l’assoluta insostenibilità di determinati progetti. Questi concernono, in particolare, la sterilizzazione ai fini del debito di parte dei titoli pubblici acquistati dalla Bce, l’intento di intervenire nella politica monetaria, l’idea di trasformare il Montepaschi in una banca statale di servizi, l’illusione taumaturgica dell’istituzione di una banca pubblica per gli investimenti che non si capisce se coincida con la trasformazione della Cassa depositi e prestiti, la quale così rischierebbe di entrare nel perimetro del debito pubblico da cui ora fuoriesce, l’ipotesi di fronteggiare con un eventuale condono (diversamente denominato) il reperimento di risorse che appaiono ingenti, ma per interventi strutturali, e così di seguito. Non vorrei che a un certo punto si debba evocare, riferita al governo se si costituirà, la nota metaforica situazione descritta da Kierkegaard, che presenta una nave in mano al cuoco di bordo mentre il megafono del comandante trasmette non la rotta, ma ciò che si mangerà. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

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