Viva il capo dello stato che, seppure in ritardo, torna a fare il capo dello stato
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Io sto con il presidente Mattarella. In sostanza, la questione aperta è tutta qui: il popolo è sovrano al punto di decidere di suicidarsi oppure gli organi costituzionali a cui sono affidati dei poteri legittimi di tutela della nazione hanno il diritto/dovere di esercitarli?
Giuliano Cazzola
La Costituzione vale più di un programma votato su Rousseau. La difesa delle istituzioni vale più di una pagliacciata elettorale. L’articolo uno della nostra Costituzione dice che “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” e che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. I truffatori della democrazia di solito dimenticano la parte finale dell’articolo 1. Il capo dello stato, domenica sera, con un bel discorso che avrebbe dovuto fare prima, perché solo in un paese pazzo come l’Italia si può permettere a due leader politici di discutere di un programma di governo prima ancora che il capo di governo sia stato scelto dal Quirinale, è tornato a ridare una dignità alla presidenza della Repubblica. E attaccarlo oggi è un’oscenità doppia perché dimostra un principio semplice: l’unico presidente della Repubblica che i Di Maio e i Salvini vogliono accettare è un presidente della Repubblica senza identità che rinuncia a difendere la Costituzione e che rinuncia a difendere l’interesse nazionale. Noi lo abbiamo criticato per molte ragioni, ma oggi che il capo dello stato ha scelto di scongelare la presidenza della Repubblica non possiamo non stare con lui.
Al direttore - Quante volte l’abbiamo sentito, il mantra dell’Italia paese a sovranità limitata? Bastava uno starnuto d’oltreoceano, e scoppiava il finimondo. Finimondo che però, a quanto è dato di vedere, ora che c’è di mezzo la Germania non succede. Succede invece, tu guarda il caso, che gli stessi che fino a l’altro ieri si stracciavano le vesti alzando alti lai di disappunto ora tacciono oppure si sperticano le mani a vergare pensosi commenti e articolesse varie sui nuovi barbari – incidentalmente, quelli che hanno votato gli italiani – alle porte. Con i tedeschi che si permettono pure di prenderci per i fondelli senza che nessuno abbia da ridire. Ma per favore. Chi scrive appartiene ad una tradizione culturale e politica lontana anni luce, tranne qualche punto di contatto, con le idee leghiste e (soprattutto) pentastellate. Ma questo non mi impedisce, in primis da italiano e al netto delle bellurie pronunciate a caldo si spera più per rabbia che per convinzione, di condividere le loro ragioni in merito alla inaudita bocciatura da parte del capo dello stato di uno stimato economista reo di pensarla diversamente dalla vulgata corrente in tema di Europa. Andiamo al punto. E il punto è la seguente, semplice domanda: ci sono dei limiti, e se sì quali e decisi da chi, che un popolo deve rispettare nel momento in cui esprime il proprio voto? Ci sono idee, visioni dell’uomo e della società, dell’economia come della cultura, che non hanno diritto di cittadinanza in democrazia? Detto altrimenti, gli italiani (e non solo) possono (debbono?) votare solo partiti e persone che la pensano in un certo modo, come se vi fosse un qualche punto di non ritorno, un qualche dogma laico da ossequiare pena la scomunica? Perché se è così, e per come sono andate le cose pare proprio che sia così, beh forse dovremmo fermarci tutti un attimo e riflettere seriamente su cosa vogliamo che il termine democrazia significhi. A cominciare dal rapporto tra economia e politica, vergognosamente sbilanciato a favore della prima come se la vita fosse tutta e soltanto una questione, appunto, economica fatta di spread (a proposito: dov’erano nel 2011 quando Berlusconi fu costretto alle dimissioni quelli che oggi si riempiono la bocca sullo spread che schizza alle stelle?) mutui pensioni tasse debito pubblico e titoli di stato. E più ancora se parole come sovranità, nazione, popolo, ecc., hanno ancora un qualche significato oppure no, possibilmente senza che ogni volta si debbano evocare strumentalmente le immancabili derive totalitarie (da che pulpito, poi). Una cosa è certa: se c’è una lezione che la Brexit e l’elezione di Trump (e in parte anche le ultimi elezioni francesi) dovrebbero aver insegnato è che a scherzare con il fuoco dei populismi si rischia di bruciarsi. Se democrazia dev’essere, che democrazia sia.
Luca Del Pozzo