Ilaria Occhini e Dudù La Capria, la lotta del cuore e l'avventura della bellezza quotidiana
Ilaria Occhini, “La bellezza quotidiana”
(Rizzoli)
Raffaele La Capria le dice che è ancora bella, ha conservato i suoi tratti, e che dentro la casa di Roma ci sta come una chiocciola nel suo guscio. Si sono incontrati cinquantacinque anni fa, quando lui ha aperto lo sportello di un’automobile, a Napoli, e ha visto Ilaria Occhini che non conosceva nemmeno dalla televisione: rimase folgorato dalla bellezza, e anche lei subito si innamorò (“non era un fusto e non ne aveva le arie, ma mi piaceva, aveva sempre una sua autonomia e un’intelligenza del cuore”). Adesso Ilaria Occhini, diva di aristocratica nonchalance, scrive qualcosa di sé, con il distacco privo di vanto di chi dà per scontato il successo, ma anche accoglie l’annuvolarsi della felicità, i rimpianti, la malinconia, perfino il mistero su un amore che ha tenuto insieme la vita intera: “Se devo dire la verità, tutta la verità, a me sembra di non averlo mai davvero conosciuto”, dice Ilaria Occhini di suo marito, Raffaele La Capria: l’attrice e lo scrittore, come scrivevano e fotografavano i giornali negli anni Sessanta, loro due al premio Strega, che lui vinse con “Ferito a morte” nel 1961, e poi al mare con gli amici, nuotare tenendosi per mano, a cena con Mastroianni dopo gli spettacoli a teatro, e Goffredo Parise coperto da un enorme mazzo di fiori a fare da testimone di nozze, dopo la nascita a Londra della figlia Alessandra (“Quando telefonai a mia nonna per dirle che era nata, alle sue domande risposi che era bellina, ed era un po’ scura. Mia nonna sospirò. ‘Che ci vuoi fare’, mi disse, ‘abbi pazienza, si schiarirà’. Per lei era naturale che fosse un po’ scura, visto che avevo sposato un meridionale”).
Conoscersi davvero forse non è utile o necessario per dividere una vita e lo splendore, che a volte fa molta paura e porta guai e distacchi. In ogni pagina di questo memoir Ilaria Occhini, da quando racconta di averlo incontrato in quella gita a Positano, parla sempre di Raffaele La Capria (e così lui di lei in moltissimi scritti, e negli sguardi catturati dalle fotografie stampate dentro il libro) con un’attenzione viva, con un senso di avventura mai interrotto. Le case che hanno abitato insieme, le difficoltà, l’operazione a cuore aperto su cui La Capria poi scrisse un libro, il fastidio che lui provava quando sentiva, ad Amalfi, Dacia Maraini e Alberto Moravia battere freneticamente sui tasti della macchina da scrivere, e i ricordi belli di Panarea, in cui lui ammirava la giovinezza di Ilaria che si buttava sul letto con il costume ancora bagnato, e allora la baciava e abbracciava, in una casa di pescatori in riva al mare. Ilaria Occhini resta un passo indietro anche nel ricordo dei trionfi, per consapevolezza, per curiosità verso gli altri, per divertimento nell’ascoltare Raffaele che dice che nella casa di campagna ad Arezzo ci si annoia: non c’è nessuno con cui fare una conversazione, e “lui ha il senso del tempo che inutilmente fugge, e ad Arezzo inutilmente fugge più che altrove”.
E’ una lotta infinita del cuore, quella di chi si sceglie e attraversa anche l’offuscarsi della felicità, si ribella alle nuvole e poi invece le lascia passare, accetta i dolori, si consola e si rammarica come può, ma ogni volta cercando una possibilità allegra per restare. La fedeltà del cuore: forse è la chiave della bellezza quotidiana di Ilaria Occhini e Raffaele La Capria. E della bellezza infinita di lei, a teatro, in televisione, al cinema. “Non vale la pena dipingersi migliori di quello che si è. Io sono stata, si dice, bellissima. Non credo di esserlo più. Ma non è ridicolo tutto questo affannarsi?”. Lei non si affanna, cura le piante sul terrazzo, a volte soffre la solitudine, vorrebbe mostrare a Dudù La Capria le foto degli anni folgoranti, ma in fondo non importa, perché lui, che adesso ha novantatré anni, le ripete che lei non è cambiata da allora.
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